Un importante giornalista spagnolo ha due previsioni choc per le elezioni
Madrid. “E se dicessi che esiste un 40 per cento di possibilità che si torni alle urne?”. John Muller, vicedirettore di El Español, progetto editoriale innovativo fondato nel 2015 dallo storico ex direttore del Mundo, Pedro J. Ramírez, apre le braccia sconsolato: “Disgraziatamente la politica spagnola non ha una tradizione di alleanze. Non è facile cestinare da un giorno all’altro una storia di governi monocolore”, dice al Foglio. Muller, economista raffinato e tra i fondatori del Mundo, fa parte di quella ridotta di fuoriusciti dal giornale dell’establishment spagnolo che, fondando El Español, si è imbarcata in un progetto editoriale che per ora sta riscuotendo successo anche per le sue posizioni forti: fin dalla prima campagna elettorale, El Español ha fatto chiari endorsement per il centrista Albert Rivera. “Ciudadanos è l’unico partito che ha un discorso europeista deciso. Concorda sia con l’ala più a destra del Partito socialista sia con l’elettorato più centrista del Partito popolare. La sua è una narrativa coerente”.
Lo scenario politico tuttavia non sembra molto diverso da quello già visto a dicembre. Domenica, in caso di vittoria, il premier ad interim Mariano Rajoy ha già fatto sapere che ripeterà lo stesso schema tattico: se sprovvisto di appoggio, andrà nottetempo dal re Felipe e così ricomincerà il circo dei negoziati. “La situazione è molto complessa: Ciudadanos si arroga il ruolo chiave per la formazione di un governo di larghe intese ma tutte le soluzioni passano dal Psoe. I socialisti, anche questa volta, saranno l’ago della bilancia: o un governo col o del Pp (se decidono di astenersi) o un patto con Unidos Podemos”. Resta l’attacco a sorpresa di Pablo Iglesias, e qui Muller fa un’altra previsione choc. “Considerando gli ultimi scandali all’interno del Partito popolare, c’è una buona probabilità che Podemos non solo superi i socialisti ma possa raggiungere o perfino superare il Pp”. John Muller, che secondo indiscrezioni sarebbe nella rosa dei nomi che il giornale di Rcs maneggia per trovare un nuovo direttore, dopo la recente destituzione di David Jimenez, sistema gli occhialini sul naso.
Secondo i sondaggi, il partito di Rajoy è saldamente in testa, ma mercoledì è scoppiato sui media lo scandalo delle registrazioni in cui il ministro dell’Interno, Jorge Fernández Díaz, “suggerisce” all’Ufficio antrifrode catalano di aprire qualche fascicolo ad hoc contro gli indipendentisti alla vigilia del referendum del 2014. I dati statistici dicono che il 30 per cento degli spagnoli è ancora indeciso su chi votare, ma secondo Muller le ultime campagne a mezzo stampa potrebbero far propendere più voti del previsto verso i puri e intransigenti di Podemos. “Con loro la Spagna sarebbe assolutamente diversa”, dice il giornalista. Da Madrid a Caracas il passaggio è d’obbligo. Nel 1996 Muller, cileno di nascita, dirigeva El Universal, tra i quotidiani più importanti del Venezuela. “Ho vissuto la parte finale della crisi del paese che ha aperto la strada all’arrivo di Chávez”. Proprio per questo, quando in Spagna nasce Podemos, Muller scrive un pamphlet dal titolo inequivocabile: “Deconstruyendo a Pablo Iglesias”.
Ci sono delle connessioni evidenti.
“E’ difficile provare che Podemos è finanziato dal chavismo”, dice, ma è vero che “i fondatori del partito sono stati nel libro paga di Chávez, incluso Pablo Iglesias”. “Ricordo ancora la notte elettorale di due anni fa, quando il partito conquistava cinque seggi al Parlamento europeo. Pablo Iglesias disse: ‘Por ahora no hemos alcanzado nuestro objetivo’ (al momento non abbiamo raggiunto il nostro obiettivo). Era la stessa frase che aveva pronunciato Chávez di fronte alla Camera subito dopo il colpo di stato. Un discorso che segna l’inizio del regime bolivariano”. Per questo, secondo Muller, quelli di Podemos “non sono semplici simpatizzanti: hanno seminato i germi del modello bolivariano. Sono fatti documentati”. Nel corso della campagna elettorale, però, Iglesias ha moderato il suo messaggio fino ad autodefinirsi socialdemocratico. “Un passaggio che non sappiamo se sia onesto o un mero artificio”, conclude Muller.