Quel voto inglese contro il rischio, la competizione, lo squilibrio e il capitalismo
Brexit vuol dire votare contro l’insicurezza del capitalismo mondializzato. Malgrado la cura liberista degli anni Ottanta benedetti, che ha ridotto la povertà nel mondo ma ha squilibrato la distribuzione della ricchezza e della mobilità sociale mettendo sotto pressione la classe media d’occidente, viviamo in questa parte del globo in un protettivo mezzo benessere diffuso che la sregolatezza programmata del capitalismo di mercato minaccia fin dentro la vita quotidiana di grandi masse, grandi numeri di forte impatto elettorale. Si sa. E’ lapalissiano. Il rischio: se ne diffida. Il lavoro creativo di ricchezza, produttivo: è impresa difficile su scala generale. La protezione pubblica: la si invoca, ci si abitua, la si difende con le unghie e con i denti. Il capitalismo ha una sua venatura di impopolarità, propone modelli respingenti di sviluppo per salti, per strappi, eccita i guru dell’eguaglianza e del solidarismo a dare il peggio di sé, a predicare le sicurezze dello status quo, a pensare che sia possibile evitare la parte distruttiva e riformatrice dello sviluppo fondato su libertà, proprietà, tecnica e innovazione.
Certo che gli inglesi sono inglesi, mezzi pazzi, nel bene e nel male. Ma alla fine ha una sua ragionevolezza la loro fuga verso un pieno autogoverno nazionale come risposta alle trame di una classe dirigente non amata, quella di Bruxelles, e replica storica a un progetto europeista classico sempre considerato a baffo moscio. Meno ragionevole l’idea di sottrarsi alla mobilità e apertura dei mercati. Infatti c’è Brexit e Brexit. Quella di Farage è indipendentista, quella di Corbyn è socialista (ha fatto la mossa ma in realtà governa un’opinione laburista di provincia ostile al capitalismo), quella di Boris Johnson, a parte l’aspetto ludico-edipico del suo scontro con Cameron e con l’establishment finanziario, dovrebbe essere una Brexit compatibile: riprendiamoci il controllo per giocare meglio il nostro ruolo di liberisti nel commercio e di innovatori nel rischio. Mah! Vallo a capire, quel biondaccio spettinato e corpulento che sa essere spiritoso, provocatorio, devastante, eppure responsabile e politicamente significativo, old tory.
Tuttavia la vera e pesante faccenda si può giudicare solo tenendo presenti i Sanders, sognatori insoddisfatti che abbaiano alla luna, e, su un tutt’altro piano, i Trump, questo fantasma dell’uomo bianco spiazzato dai protocolli del moderno, isolato dalle faccende e faccenduole contemporanee, emarginato, sconfitto in tutte le sue guerre culturali, guardato con condiscendenza, e pronto ovviamente a vendicarsi costi quel che costi. Quando fu eletto Obama, ricorderete, tutti a dire che era nata la stella del multiculti e multietnico, la coalizione del futuro, compassione, storytelling più mercato, Harvard-capitalismo ma nella forma del new new deal, e tanta riluttanza alla politica, molta inclinazione alla retorica arcobaleno verde, gay, pedonalizzato, veganizzato, capitalismo gluten free. Ora si guarda per capire la resistenza al progresso (formula semplicistica ma efficace) alle più remote contee delle Midlands, per capire la Francia di Marine Le Pen e di un eviscerato Hollande al 13 per cento bisogna leggere non la storiografia dei re ma il Tableau de la France di Jules Michelet, antropologia, razze, genealogie dei paesaggi profondi, e chissà da dove verrà la sorpresa rinazionalizzatrice di un paese come l’Italia, della Germania (oddio!), da dove verranno i nostri futuri elettori del tipo dell’uomo bianco ordinary, comune, svantaggiato nella competizione, nell’emulazione, nello squilibrio dello sviluppo, nel rischio.
Ma i cinesi, gli indiani, gli africani, i russi per la loro parte (ambigua e ancipite come sempre), insieme con i giovanotti e le giovanotte nati alla fine del secolo scorso, sono tuttora un partito del capitalismo o dei suoi spirti animali difficile da sventrare, da far rientrare nei ranghi con una bella reazione occidentalistica, cioè neonazionalistica, regionalistica, piccole patrie. Bè, staremo a vedere. Comunque il caso della Brexit sta nella storia accidentata del capitalismo dopo la fine della storia, sta lì, non altrove.