Anche il País dice che Rajoy deve governare
Roma. Il leader socialista spagnolo Pedro Sánchez in appena sei mesi ha condotto il Psoe, uno dei partiti storici della democrazia spagnola, alle due peggiori sconfitte elettorali della sua storia. Alle elezioni del 20 dicembre Sánchez aveva guadagnato 90 seggi parlamentari, minimo storico, ma domenica è riuscito a fare meglio, fermandosi a 85. Questa volta, inoltre, la sconfitta è stata resa più amara dalla perdita – a favore del Partito popolare del premier facente funzioni Mariano Rajoy – di alcuni feudi storici socialisti, come l’Andalusia. Se c’è un leader fallimentare nella storia del Partito socialista spagnolo, quello è Sánchez. Eppure, dal fallimento delle elezioni di domenica il guapo leader non può che trarre un moto di sollievo. Per la seconda volta, il peggior risultato della sua storia ha portato il Psoe a essere la forza determinante per la formazione del governo.
Tutte le decisioni passano per le mani di Sánchez, che dopo lo scorso dicembre cercò di giocare questo vantaggio a proprio favore architettando un’improbabile e fallimentare alleanza con i centristi di Ciudadanos. Questa volta in molti avevano pensato che, visto il secondo disastro annunciato, a negoziare per il governo sarebbe stato un nuovo leader socialista, ma due sconfitte più gravi della sua hanno consentito al sopravvissuto Sánchez di tirare avanti ancora per un po’. Da un lato il crollo inatteso di Podemos, il cui “sorpasso” sul Psoe avrebbe rispedito Sánchez a insegnare Economia applicata in un’università minore di Madrid. Dall’altro, in minor misura, il cattivo risultato nell’Andalusia della potente governatrice socialista Susana Díaz ha consentito a Sánchez di evitare almeno per ora lo scontro con la sua più potente avversaria interna.
Così, con sorriso smagliante, il leader socialista ha ripreso questa settimana le stesse schermaglie tattiche a cui ci aveva abituato negli scorsi mesi di trattative: non sosterrò mai Rajoy, potrei aprire a Podemos ma anche no, fare un governo è una priorità, certo, ma prima vengono le convenienze politiche. Rispetto a sei mesi fa, però, le condizioni sono cambiate, benché la situazione dei partiti sembri la stessa. Non solo perché la posizione del Psoe si è indebolita, ma soprattutto perché gli elettori hanno dato un forte segnale in favore della stabilità rafforzando il Partito popolare del premier Rajoy. Così, oggi, a credere ai tatticismi di Sánchez – che pure, e giustamente, ha una posizione negoziale da difendere – restano in pochi.
Non ci crede nemmeno il País, quotidiano faro della sinistra spagnola, che ieri in un editoriale non firmato ha chiesto al Psoe di fare “un’opposizione responsabile” e di “facilitare la governabilità”, e dunque di consentire la formazione di un governo con l’astensione durante il voto di fiducia, anche se questo governo sarà “indubitabilmente” del Pp di Rajoy: Sánchez deve pensare “prima di tutto all’interesse generale della nazione, e poi solo in seguito a quello particolare del suo partito”, si legge, e il significato è chiaro: Pedro, smettila di fare i capricci, gli elettori hanno parlato, lascia governare Rajoy. Su questa posizione, e con crescente decisione, concordano molti i baroni del Psoe, gli alti dignitari e i governatori locali del partito. Prima fra tutti la ferita Díaz, che ha detto chiaro e tondo che “i cittadini ci hanno mandato all’opposizione”. Ancora più chiaro Guillermo Fernández Vara, presidente dell’Extremadura, che ha detto che un governo del Pp è meglio di nessun governo. Rajoy, che attualmente è impegnato a smorzare anche il veto di Ciudadanos, ha chiesto ai partiti di “tranquillizzarsi” per parlare “senza pressioni”. Ma se Sánchez continuerà con i tatticismi la domanda inizierà a diventare: “quando salta il guapo socialista?”.