Chi farà adesso il lavoro sporco per Erdogan
Roma. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan gli ha dato una sola missione: sgombrare la strada verso il presidenzialismo, sorvegliare diligentemente il travaso del potere esecutivo in Turchia sulla sua persona. E per il premier Binali Yildirim, scelto da Erdogan un mese fa dopo le dimissioni burrascose del predecessore Ahmet Davutoglu, la missione ha significato anzitutto, in queste prime settimane di governo, cercare di chiudere gli infiniti fronti aperti dalla Turchia in politica estera. Gli analisti interpretano in questo modo il gran manovrio diplomatico degli ultimi giorni, emanato da Erdogan ma maneggiato da Yildirim, che ha gestito in prima persona la riapertura dei rapporti diplomatici con Israele, ha tenuto buono il rissoso Parlamento turco all’annuncio del riavvicinamento con la Russia, e soprattutto, elemento meno notato dalle cronache internazionali, ha aperto lunedì alla normalizzazione dei rapporti con l’Egitto, dicendo in un’intervista alla tv pubblica Trt Haber che, pur non dimenticando il colpo di stato subìto dall’alleato Mohammed Morsi, presidente egiziano destituito nel 2013, la Turchia è pronta ad “andare avanti” e a riprendere i rapporti con il nuovo governo del generale Abdel Fattah al Sisi.
“La nomina di Yildirim e le manovre diplomatiche fanno parte di un nuovo inizio promesso da Erdogan”, dice al Foglio Demir Murat Seyrek, senior policy advisor alla European foundation for democracy. “Perfino il presidente si è accorto che la sua politica estera stava cadendo a pezzi”. Yildirim, insomma, è stato in questa prima parte del suo mandato il grande normalizzatore che ha consentito a Erdogan di concentrarsi sui suoi piani di politica interna. Poi è arrivato l’attacco terroristico all’aeroporto di Istanbul. Yildirim è stato il primo, mercoledì, a dire che tutte le piste dell’attentato conducevano allo Stato islamico, sebbene ancora il gruppo terroristico non abbia rivendicato l’attacco e difficilmente lo farà. La missione del premier, in questo modo, si complica.
Perché il grande normalizzatore adesso non deve solo sgombrare il campo per i piani politici di Erdogan, ma fare anche in modo che il paese non si destabilizzi mentre il suo presidente lo porta da un eccesso all’altro nel culmine di una doppia guerra al terrorismo, contro lo Stato islamico e contro i curdi del Pkk. L’uomo che doveva chiudere i fronti controversi, insomma, si trova davanti adesso all’incubo del terrorismo. “Yildirim non ha una vera personalità politica, né indipendenza”, dice Murat Seyrek. “Ma è un project manager, un esecutore efficiente che fin dai tempi della sua permanenza al ministero dei Trasporti ha la fama di mantenere quanto promesso”. Yildirim ha già esperienza di terrorismo derivata dal suo precedente incarico. Sarà lui a fare il lavoro sporco adesso che il paese cerca un nuovo ruolo in Siria e vuole intensificare il suo rapporto con la Nato nel paese, e sarà lui a cercare di bilanciarsi tra la discesa autoritaria del paese all’interno e la normalizzazione all’estero. Sembra quasi che la Turchia stia cercando di tornare all’antica politica del “nessun problema con i vicini”. Non è così, se non altro perché il problema inestricabile del terrorismo, questa volta, è quasi impossibile da risolvere per Erdogan.
L'editoriale dell'elefantino