Acciaio, rock e bancarotte. Perché Cleveland è l'immagine dell'America di Trump
New York. Non è grazie a LeBron James e al titolo Nba riportato a Cleveland che la città dell’Ohio è diventata una “comeback city”. E’ da quando ha toccato il fondo, con la bancarotta del 1978, che oscilla fra le promesse di una spettacolare resurrezione e molti intoppi lungo il percorso. Cleveland è una Detroit ante litteram. E’ stato il teatro del più devastante fallimento municipale dalla Grande depressione, quando alla regia c’era Dennis Kucinich, eroe della sinistra in stile Sanders che ha accarezzato invano il sogno di una corsa alla Casa Bianca. L’Ohio, lo swing state imprescindibile per conquistare la presidenza, è spaccato in due: a nord la working class democratica, a sud il ceto medio repubblicano. E’ il sogno americano della classe operaia che ha subìto le perdite più ingenti da delocalizzazione e mercati aperti. Nel 1990 Cleveland aveva oltre 500 mila abitanti, oggi ne ha 390 mila. Columbus, la capitale, ha fatto il percorso inverso.
C’è stato un momento in cui era soprannominata la “sesta città” e, per la verità, poco prima del 1929 è stata anche la quinta città: non abbastanza a lungo, comunque, perché il soprannome potesse attecchire. Oggi è cinquantunesima nella classifica. Grazie al lago Erie e ai trasporti su rotaia costruiti dalle poche famiglie che controllavano i flussi delle materie prime, era diventata un importante hub commerciale e manifatturiero. John Rockefeller ha fondato proprio lì la Standard Oil, l’azienda-impero che ha rivoluzionato il mercato dell’energia e ha fatto di lui nel giro di pochi anni l’uomo più ricco del mondo. La vivacità economica ha trainato anche quella culturale: il rock and roll è stato inventato qui. Forse “inventato” è un’esagerazione, ma un dj di nome Alan Freed negli anni Cinquanta ha iniziato a mischiare generi musicali diversi durante il suo programma, che era molto seguito anche fra gli afroamericani.
Freed si è messo in testa che “rock and roll” era una formula che poteva funzionare per descrivere il cocktail musicale che proponeva, e aveva ragione da vendere. Il personaggio politico più importante della storia della città è Tom Johnson, sindaco democratico di inizio Novecento che infiammava il popolo con discorsi surreali e rabbiosi pronunciati sotto i tendoni del circo, uomo di avanspettacolo e demagogia che non può che ricordare Donald Trump. Tutto questo produrre, inventare e vendere avveniva a Cleveland, che oggi è il simbolo di una rust belt impoverita e disperata, stretta fra l’aumento della criminalità e il calo demografico, con le acciaierie che sono scheletri disabitati e i grandi spazi industriali riconvertiti in rifugi a basso costo per artisti e startup. In qualche modo la città è riuscita a far rimanere (talvolta ad attirare) una parte della popolazione giovane, cercando in qualche modo di rilanciare la downtown (in America il centro città è la periferia esistenziale) e di valorizzare le proprietà che si affacciano sul lago. Dal 2012 al 2014 è stata nelle ultime posizioni in termini di aumento dei posti di lavoro e nel 2015 l’economia della città è calata di mezzo punto percentuale, a fronte di una crescita economica del 3 per cento a livello nazionale. E’ la rappresentazione in scala del declino. Il “comeback” è stato sempre atteso, perché non c’è nulla di più americano di una rimonta, ma non è mai davvero arrivato, se non nell’ambito del basket. La cosa non va sottovalutata, perché, come scrive David Brooks, in quest’America in crisi cronica “lo sport è diventato la religione che lega le persone, offrendo identità, valore e solidarietà” che sono andate perdute altrove, ma nemmeno LeBron James può riequilibrare la competizione con la Cina sulle esportazioni di acciaio.
Questa città ferita si sta preparando alla convention del Partito repubblicano, raduno che cova un potenziale di violenza piuttosto evidente dopo una campagna in cui gli scontri fra sostenitori e antagonisti di Trump non sono mancati. La polizia di Cleveland ha lanciato l’allerta sulla sicurezza dopo che diversi gruppi belligeranti hanno annunciato che andranno in città per la convention. Un gruppo di skinhead che ha organizzato di recente una manifestazione in California finita con cinque persone accoltellate ha confermato che sarà a Cleveland per “assicurarsi che i sostenitori di Trump siano adeguatamente protetti”. Spesso è stato evocato lo spettro della convention democratica del 1968 a Chicago, quando la città è stata cinta d’assedio dai manifestanti e le proteste sono sfociate nella guerriglia urbana. La polizia sta valutando i metodi per evitare che il paragone con quell’infausto episodio regga. Fra le altre cose stanno predisponendo il marchingegno acustico di potenza assordante che viene usato solitamente per le comunicazioni fra navi, ma che all’occorrenza serve per atterrire e disperdere la folla inferocita. Qualunque misura di sicurezza non potrà comunque lenire le sofferenze della “cinquantunesima città”, una “comeback city” in potenza aggrappata al consolatore James.