Soldati dell'esercito del Bangladesh durant le operazioni militari a Dacca (LaPresse)

Dove eravamo quando uccidevano i blogger in Bangladesh?

Giulio Meotti
A Dacca, nell'attacco terroristico dello Stato islamico, sono morti "almeno nove italiani". Sono mesi che il lontano e povero Bangladesh assiste a una strage simile a quella di ieri, una strage quotidiana, amorfa, in cui le vittime sono quasi sempre scrittori della rete, blogger, editori, giornalisti, uccisi con lame altrettanto affilate, anche loro per rea “blasfemia”. Un massacro che riguarda anche noi - di Giulio Meotti

Undici italiani coinvolti nell'assalto terrositico di un commando dello Stato Islamico in un locale a Dakka, in Bangladesh. "Almeno nove" di essi, ha detto in conferenza stampa il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, sono morti. Uccisi con “lame molto affilate” brandite da islamisti che risparmiavano la vita soltanto a chi sapeva rispondere a domande sul Corano. Sono mesi, però, che il lontano e povero Bangladesh assiste a una strage simile, una strage quotidiana, amorfa, in cui le vittime sono quasi sempre scrittori della rete, blogger, editori, giornalisti, uccisi con lame altrettanto affilate, anche loro per rea “blasfemia”. Tantissimi nomi depennati da una “hit list” copiosa e in tanti si sono salvati soltanto mangiandosi la lingua e posando la penna. Sembrava una storia virtuale, come se la loro morte non fosse reale, incapace di sdegnare e indegna persino di una sola riga di giornale. Poi gli islamisti sono passati ai sacerdoti cristiani e infine a masse di “infedeli”.

 

E’ avvenuto così anche in Siria, quando in uno scenario mozzafiato i tagliagole dello Stato islamico prima hanno giustiziato i giornalisti occidentali. Poi, una notte, sono arrivati a Parigi e per tutti fu “l’attacco al mondo libero”. Il premier Matteo Renzi ha detto che “continueremo la lotta tutti insieme e tutti uniti per affermare un’idea di civiltà diversa da quella che purtroppo abbiamo visto in azione stanotte in Bangladesh”. Una retorica che dovremmo saper sfoggiare anche quando vengono macellati i blogger per strada a Dacca. Ricordandoci di quanto disse il pastore tedesco Martin Niemöller: “Prima vennero per i comunisti e io non alzai la voce perché non ero un comunista. Poi vennero per i socialdemocratici e io non alzai la voce perché non ero un socialdemocratico. Poi vennero per i sindacalisti e io non alzai la voce perché non ero un sindacalista. Poi vennero per gli ebrei e io non alzai la voce perché non ero un ebreo. Poi vennero per me e allora non era rimasto nessuno ad alzare la voce per me”.

 

Allo stesso modo, il terrorismo islamista riguarda noi italiani, occidentali, anche quando prende di mira un blogger, una ragazza yazida o un “colono” ebreo, come è successo due giorni fa in Israele. E’ su di loro che hanno prima affilato le loro lame.

 

Aggiornato alle ore 16.15

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.