Euroscettici moderati uniti. Ecco perché Farage non può più guidare l'Ukip
Londra. Il riferimento più popolare per commentare la politica britannica è quello a Homer Simpson, dicono alcuni reporter londinesi già affaticati dalla notizia choc del giorno, le dimissioni di Nigel Farage, leader del partito indipendentista Ukip, vittorioso al referendum. Una volta Homer si candidò a un posto per il comune – per occuparsi della spazzatura di Springfield – e utilizzò come slogan: “Can’t someone else do it?”, non può farlo qualcun altro? E’ la sintesi di quel che sta accadendo nel Regno Unito alle prese con la Brexit, sembra che nessuno voglia assumersi la responsabilità di gestire questo caos: nella piazza che sabato si è riunita a Londra per chiedere un secondo referendum aggiusta-tutto, nulla generava reazioni rabbiose come questo senso di abbandono. Ci avete messo in questo guaio, e ora ve ne andate tutti. Se ne vanno i perdenti, se ne vanno i trionfatori, il vuoto di potere è contagioso.
Perché Farage, che ha vinto il referendum sulla Brexit, dovrebbe lasciare proprio adesso l’Ukip e aprire un’altra contesa per la leadership, come già sta avvenendo tra i Tory e nel Labour? Formalmente lui dice di aver raggiunto quel che voleva – dimostrare che l’antieuropeismo è, nel Regno Unito, maggioranza – e di non voler più un ruolo nel negoziato, ammesso che i conservatori ne vogliano concedere uno agli indipendentisti. In realtà la figura di Farage è percepita come troppo estrema per poter lanciare il nuovo progetto dell’Ukip, che è quello di diventare un magnete degli euroscettici delusi dal Labour e dai Tory. Secondo Isabel Hardman dello Spectator, magazine conservatore, “la partenza di Farage arriva nel momento più opportuno per l’Ukip”. Il voto al referendum ha segnalato che c’è una fascia della popolazione che non si riconosce nei partiti tradizionali ma che si considera moderato, non assimilabile alla xenofobia dell’elettorato tipico indipendentista. E’ questo il target da conquistare per il nuovo Ukip che vuole nascere oggi.
Con tutta probabilità le dimissioni di Farage sono state decise da uno dei fondatori e finanziatore principale dell’Ukip, Aaron Banks. La settimana scorsa, Banks aveva annunciato di voler creare un nuovo partito, non necessariamente guidato da Farage, volto a unire gli elettori euroscettici dell’Ukip, quelli laburisti del nord e quelli conservatori del sud: Leave.Eu, la campagna referendaria legata all’Ukip che ha contribuito grandemente alla vittoria della Brexit, diventerà un movimento di attivisti, ha detto Banks, per sostenere una rigenerazione dell’Ukip e andare a caccia dei delusi.
La politica inglese si sta organizzando, nel vuoto, per creare poli attrattivi alternativi a quelli tradizionali. Se un nuovo Ukip cerca gli euroscettici che non vogliono vedere al governo leader che tradiscono l’esito referendario, i redivivi Lib-Dem vogliono creare un centro in grado di attrarre parte del 48 per cento anti Brexit, che raccolga chi non si fida delle capacità di Tory e Labour di gestire la crisi attuale. Tim Fallon, capo dei Lib-Dem, viene ormai presentato in tv come “l’unico leader che non si sta per dimettere”, mentre tutti i pesi massimi del partito offrono alternative politiche o tecniche per riunire il paese con un progetto per la Brexit che scontenti meno elettori possibili. In questo lavoro di riposizionamento, i Lib-Dem partono da un consenso bassissimo – gli anni di governo in coabitazione con i Tory, dal 2010 al 2015, hanno sfasciato il partito – ma l’Ukip, che è ben più popolare, deve ora cercarsi un leader. L’unico parlamentare del partito, Douglas Carswell, in rotta con Farage, ha dichiarato ieri di non volerlo fare. La dama del partito, l’ex anchorwoman della Bbc Suzanne Evans, farebbe volentieri la candidata, molto volentieri, ma è stata sospesa a marzo per aver criticato la leadership di Farage ed è in un limbo. Restano due altri politici noti nel partito – Paul Nuttal, il vice di Farage, e l’europarlamentare Steven Woolfe, che si occupa principalmente di immigrazione – che stanno cercando di lanciare messaggi unitari e autorevoli per rassicurare la base dell’Ukip che già si sente tradita dalla fuoriuscita di Farage. Una fuoriuscita che potrebbe essere temporanea: Farage rimarrà all’Europarlamento, e non ha affatto confermato di voler restare fuori dalle prossime elezioni, che da calendario sono nel 2020, ma non c’è nessuno a Londra che pensa che un nuovo premier oggi, nominato dai parlamentari Tory, possa reggere fino ad allora.