Il “modello Rajoy” è esportabile. Parla il direttore de La Razón
Roma. Francisco Marhuenda, direttore del quotidiano conservatore La Razón, è stato l’unico in tutta la Spagna a capire che le elezioni del 26 giugno sarebbero state un’enorme sorpresa. Per mesi i sondaggi avevano dato il premier facente funzioni Mariano Rajoy per spacciato, ridotto a un risultato deludente e stretto dalle forze emergenti. Gli analisti già salmodiavano tutti in coro la sua fine, mentre Podemos sembrava pronto a mangiarsi i socialisti e a conquistare il primato nella sinistra. Il 23 giugno, a tre giorni dalle elezioni, Marhuenda scrisse un tweet che inizialmente sembrò lunare: “Rajoy prenderà 135 deputati e darà un gran colpo ai sinistrorsi nazionali”. Centotrentacinque deputati sembravano un traguardo irraggiungibile per il premier, che ne aveva conquistati appena 123 alle elezioni dello scorso appena ripetute. Sappiamo com’è andata a finire: Rajoy ha preso 137 deputati e ha ribaltato il tavolo della politica spagnola. “La previsione azzeccata è frutto di un buon tracking dei sondaggi”, dice Marhuenda al Foglio. “Ma soprattutto della conoscenza della realtà spagnola. Il paese è lontano dal ritratto devastato che spesso viene tratteggiato, l’economia è in crescita, la situazione è in miglioramento, e gli elettori se ne sono accorti”. Questa settimana, il governo ha segnalato che a giugno la disoccupazione è scesa ai minimi dal 2009.
Francisco Marhuenda, direttore del quotidiano conservatore La Razón
Rajoy ha iniziato ieri i primi colloqui informali per la formazione del governo, e in Spagna è un gran parlare di coalizioni, grandi e piccole, e di alleanze tra partiti nemici. Per molti una Gran coalición con il Partito socialista sarebbe l’ideale per garantire la stabilità del paese, ma l’eventualità rimane remota. “Una Grande coalizione sarebbe ottima, ma è impossibile, a noi spagnoli manca ancora un passo da fare. La politica qui è come il calcio, se riesci a dare una pallonata nell’occhio del portiere avversario gliela dai”, dice Marhuenda. L’opzione più probabile, come ha ricordato anche Rajoy lunedì, è un governo di minoranza che concorderà di volta in volta alcune riforme essenziali con le forze del Parlamento. Eppure qualcosa sta cambiando. “E’ il momento dei politici seri”, ha detto il direttore della Razón in un suo videoeditoriale di pochi giorni fa, e parlando con il Foglio ribadisce il concetto: “In questo frangente, i politici seri sono quelli capaci di negoziare e di fare accordi generosi, quelli capaci di mettere il bene del paese davanti agli interessi di fazione. Alla fine a cosa serve la politica? A creare o a risolvere problemi? Il problema in questo momento è la governabilità”.
Alla Spagna serve una nuova èra di responsabilità, di patti generosi e di alleanze per fare argine al virus del populismo. In un certo senso, si può parlare di “modello Rajoy”, visto che è stato il premier conservatore, con la sua vittoria, a portare il paese in controtendenza rispetto al resto d’Europa. Mentre nel resto del Vecchio continente le forze antisistema si stanno espandendo, a Madrid Podemos ha ottenuto un risultato molto inferiore alle aspettative, e attualmente vive la peggior crisi esistenziale della sua breve storia. “Il modello Rajoy è fatto di coerenza e rigore e di capacità di spiegare alla gente le ricette necessarie per il bene del paese. La Spagna è uscita dalla crisi economica più grave dai tempi della Guerra civile, e questo ovviamente ha danneggiato i due partiti tradizionali, ma il Partito popolare di Rajoy ha resistito meglio perché è riuscito a far comprendere la necessità dei provvedimenti duri che il governo ha adottato”. Per il direttore della Razón, il “modello Rajoy” si può esportare in Europa. Una nuova èra di politici seri non serve solo a Madrid.
La nuova Commissione