Uno scandalo di antisemitismo scatena la crisi d'identità dell'AfD tedesca
Milano. Di questi tempi non sono tante le belle notizie per la cancelliera tedesca Angela Merkel. Quella di ieri è però una di queste. E’ da mesi che nel partito populista Alternative für Deutschland la tensione è alta. Già le elezioni regionali di questa primavera dovevano essere un banco di prova per la coesione tra le due anime dell’AfD, quella più radicale e quella più moderata. A incarnare le due posizioni è la doppia guida del partito. La radicale Frauke Petry non va per il sottile se si tratta di attirare nuovi simpatizzati ed elettori; il più moderato Jörg Meuthen si mostra invece sempre più insofferente agli scivoloni xenofobi e di recente perfino antisemiti. Gli ottimi risultati elettorali avevano però rimandato lo showdown tra Petry e Meuthen: nei tre Länder in cui si votava l’AfD aveva superato ampiamente dieci per cento dei voti, nel Sachsen-Anhalt, con il 24,2 per cento, si era addirittura posizionata dietro alla Cdu e prima dell’Spd. L’AfD esultava, mentre i partiti della Grande coalizione sembravano realizzare che nemmeno la Germania era immune dal nazionalpopulismo dilagante in Europa.
Ma più che pace, quella in casa AfD è stata una tregua di breve durata. A dare il via allo scontro è stato Wolfgang Gedeon, deputato AfD nel Parlamento del Baden-Württemberg. In un suo libro appena uscito, Gedeon definisce il monumento all’Olocausto di Berlino un memento a certe generiche e non meglio precisate “nefandezze” e l’Olocausto una sorta di “religione civile dell’occidente”. In un altro passo, definisce lo storico negazionista David Irving come un “dissidente”. Parole condannate non solo dagli altri partiti, ma anche da Meuthen, che nel Parlamento del Baden-Württemberg è capogruppo dell’AfD. Meuthen ha ripetutamente chiesto l’espulsione di Gedeon dal Parlamento, senza trovare appoggio né nel gruppo parlamentare né in Petry. Così martedì sera se ne è andato lui, portandosi dietro 13 deputati su 23. Le lotte intestine non sono una novità dentro all’AfD. Già un anno fa avevano portato il partito sull’orlo del baratro. Anche allora lo scontro era tra le due anime, radicale e più moderata, del partito. Aveva vinto Petry, e il fondatore Bernd Lucke se ne era andato portandosi via uno sparuto gruppo di fedeli. Molti osservatori politici interpretarono quella frattura come l’inizio della fine dell’AfD, e forse i fatti avrebbero dato loro ragione, non fossero arrivati a centinaia di migliaia i profughi a salvarne le sorti. Alexander Gauland, ex Cdu e oggi altro personaggio eminente dell’AfD, l’ha sempre detto: “Dobbiamo la nostra rinascita in massima parte a loro”. E’ agitando lo spettro dell’“invasione” dello straniero che l’AfD ha avuto gioco nel mettere nell’angolo Spd e Cdu.
Ma non sono solo gli ammiccamenti verso un’ideologia sempre più marcatamente nazionalista a dividere il partito. Anche l’esito del referendum britannico ha messo in luce divisioni e contrasti, tant’è che il quotidiano economico Handelsblatt ha titolato: “Brexit – Caos nell’AfD”. All’indomani del referendum, Petry chiedeva riforme radicali dell’Ue ma si dichiarava contraria a un Dexit, ma la sua linea si è scontrata con gli esponenti dell’ala radicale come Björn Höcke, capogruppo parlamentare in Turingia, così come alcuni deputati di Potsdam. Dopo la scissione di questa settimana, Meuthen ha già costituito il gruppo parlamentare “Alternative für Baden-Württemberg” mentre Petry si è premurata di dire che a rappresentare la AfD nel Parlamento regionale sono solo i deputati rimasti. Adesso gli analisti si chiedono se Meuthen abbandonerà il partito come Lucke o vorrà arrivare allo scontro finale. Così l’AfD non avrebbe potuto fare regalo più gradito a Merkel. La spina nel fianco della Grande coalizione tedesca non è stata definitivamente estratta. Ma ora c’è almeno la speranza che la famosa frase di Josef Strauß, potente ex leader della Csu, torni a essere vera. E cioè che alla destra della Csu (così come della Cdu) non deve esserci spazio per nessuno.