Blairiani non pentiti
Londra. Il volto di Tony Blair invecchiatissimo ma sempre diabolico, i titoli sulla guerra in Iraq sbagliata, non necessaria, perché la minaccia era esagerata, sulla leggerezza di un leader che ha portato in guerra un paese in nome di un patto con l’americano George W. Bush siglato da una frase che resterà per sempre, dopo il “cagnolino”, a descrivere un’alleanza sciagurata: “With you, whatever”. I media inglesi sono stati impietosi con l’ex premier laburista. “Ho come l’impressione che i commenti al report Chilcot sulla guerra in Iraq – dice al Foglio Alastair Campbell, capo della comunicazione di Blair dal 1997 al 2003 – siano stati quelli che erano stati decisi prima della pubblicazione del report stesso”: chi pensava che Blair è un criminale di guerra continua a pensarlo, anche se lo stesso Chilcot, per quanto durissimo, non lo dice affatto. Dodici volumi di analisi e nessuno che sottolinei che Blair non è “Bliar”, un bugiardo, ha fatto molti errori però era in buona fede. Semmai, il report arriva per confermare la tesi popolarissima secondo cui la guerra in Iraq ha causato il terrorismo di oggi dello Stato islamico. “Che approccio semplicistico – dice Campbell – E’ come dire che la guerra in Afghanistan ha creato al Qaida, quando quella guerra era conseguenza di al Qaida”.
Campbell parla con calma, sembra molto meno arcigno di come appare in tv, quando deve difendere una guerra – una carriera, la sua, oltre a quella del suo ex capo che comunque si difende bene da sé – che è da più di un decennio oggetto di un odio smodato. Cerca di mettere in fila i fatti per restaurare i rapporti di causa-effetto, visto che almeno “la questione delle bugie dovrebbe essere risolta”, pure se nessun giornale lo sottolinea e la stragrande maggioranza dei commentatori s’è dimenticata che la novità del rapporto Chilcot era questa, stabilire se Blair avesse ingannato il suo governo, il Parlamento, l’opinione pubblica, e non l’ha dimostrato. Campbell ci tiene molto a sottolinearlo, dal momento che fu accusato di aver “sexed up” il dossier dell’intelligence sulle armi di distruzioni di massa che portò alla guerra e di essere moralmente responsabile della morte dell’ex ispettore dell’Onu in Iraq David Kelly, che era stato citato dalla Bbc come una fonte che aveva confermato la manipolazione dell’intelligence da parte del governo Blair. “Si dice che gli iracheni siano convinti che l’invasione del 2003 sia stata la causa di mali senza fine – spiega Campbell – ma tanti iracheni, non soltanto i curdi e gli sciiti, sono molto contenti che Saddam non sia più al potere. Chilcot dice che gli obiettivi della guerra non sono stati raggiunti, ma rimuovere Saddam era un obiettivo, ed è un bene che sia stato raggiunto”. Però poi è arrivato il caos: quella che per Blair e Bush era una chance di libertà da dare agli iracheni si è trasformata in un covo di terroristi sempre più brutali. “Penso che questo modo di pensare non sia rispettoso degli iracheni: l’estremismo, il terrorismo esistono nel mondo islamico e in medio oriente per ragioni che non hanno molto a che fare con l’occidente. Al Qaida in Iraq, da cui poi si è generato lo Stato islamico, era nata su iniziativa del giordano al Zarqawi per combattere le forze occidentali. Ma presto ha iniziato a uccidere più sciiti possibili, a distruggere i loro luoghi sacri, è su questo odio che si è costruito lo Stato islamico: quando nel 2010 c’è stato il ritiro delle truppe, il ‘surge’ e il ‘risveglio’ contro al Qaida avevano portato stabilità nel paese”. Ma l’uscita dall’Iraq è arrivata “prima che la riconciliazione tra sunniti e sciiti fosse strutturata” e in questo scontro, e nel “vuoto lasciato da noi”, lo Stato islamico ha iniziato a prosperare.
Riscrivere la storia con i “se” è un esercizio viziato dall’ideologia che, come il report Chilcot, non sposta opinioni, e Campbell non ama prestarsi a questo gioco. Semmai il punto è che questo report uccide ogni ambizione di interventismo futuro, ambizione già molto contenuta in realtà, in un momento in cui il terrorismo è tutt’altro che sconfitto. “Prevale un approccio molto cauto – dice Campbell – anche l’attuale premier Cameron è molto circospetto, ma credo che ci sia una grande ipocrisia in chi definisce Blair un criminale di guerra quando ha rimosso un criminale di guerra come Saddam e ora non si muove in difesa dei siriani, che sono sotto attacco da parte di un altro feroce dittatore, Bashar el Assad”. Ma parlare di regime change è tabù oggi, ancor più dopo la rimozione di Gheddafi in Libia, e la destabilizzazione che ne è seguita. Si è persa la voglia di ricercare una visione condivisa di soluzione dei conflitti, il che porta dritto al rapporto tra Blair e Bush, la fretta che il primo avrebbe avuto per assecondare la strategia del secondo. Sul suo blog due giorni fa e nei suoi diari, Campbell ha raccontato quanto fosse più complesso quel rapporto, come ha sottolineato – voce quasi solitaria – John Rentoul sull’Independent: dopo la frase “whatever”, c’erano dei “ma”, un’approfondita analisi politica su tutto quel che andava previsto, analizzato, valutato per controllare i rischi della guerra in Iraq. E’ in quei “ma” che sta la sostanza dell’alleanza tra Blair e Bush – mentre in quel “whatever” c’è una spiegazione del vuoto di oggi: nessun leader è più in grado di dire a un altro “with you, whatever”, si è disintegrato l’interesse comune contro il terrorismo. E la conseguenza più pericolosa del report Chilcot è proprio questa, non tanto affossare un leader – Blair – che più affossato di così non potrebbe essere, quanto piuttosto, come ha scritto (sempre solitario) sul Times David Aaronovitch, restare immobili e non combattere più i tiranni, o il terrorismo, che spesso si muovono assieme.
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