Il prezzo della ricchezza: i limiti dell'ordine liberale, dalla Brexit a Trump
New York. Todd Buchholz è un economista che è stato professore ad Harvard e consigliere di Bush senior, ma non parla il linguaggio cifrato dell’accademia né quello paludato della politica. Il suo “The Price of Prosperity” è un trionfo pop di riferimenti alla portata dell’uomo della strada innervato da un filone di erudizione e con una preferenza per la schiettezza scioccante. Spiega così l’invariabile tendenza delle società che si arricchiscono a fare meno figli: in una società fiorente, “i bambini cessano di apparire come utili lavoratori manuali e obbedienti braccia per l’agricoltura, e iniziano a somigliare a beni di lusso, come lo sono gli animali o le borsette”.
Per definizione il bene di lusso è accessibile soltanto con misura e saltuariamente per le persone normali, dunque i figli diventano la vacanza che si fa una volta nella vita, oppure la pochette che segretamente si desidera ma infine non si compra mai. Le priorità sono altre. Il saggio di Buchholz si presenta con la titanica ambizione di afferrare, come da sottotitolo, il motivo per cui “le nazioni ricche falliscono e come rinnovarle”, e finisce per spiegare anche più di questo: la frammentazione sociale, la polarizzazione politica, la “stagnazione secolare”, per usare la dicitura rielaborata da Larry Summers, la Brexit e il ritorno allo schema dei nazionalismi dopo l’ubriacatura cosmopolita e internazionalista avvenuta dopo la fina della Guerra fredda, la storia che è repentinamente ricominciata dopo che ne era stata frettolosamente annunciata la fine.
È un libro che implicitamente mostra alcuni difetti strutturali dell’ordinamento liberale, che si pensava dotato di un sistema di anticorpi cangiante, in grado di adattarsi, mentre ora pare afflitto da una malattia autoimmune. Ci arriva dal versante dell’economia, Buchholz, ma il discorso è fitto di implicazioni antropologiche, culturali e generazionali. L’autore offre una sintesi minima degli argomenti articolati in oltre trecento pagine: “Con l’aumento della ricchezza, la natalità crolla e l’età media della popolazione cresce. Per mantenere uno standard di vita alto, i cittadini hanno bisogno di lavoratori, e questo richiede un flusso di nuovi operai; il che comporta l’apertura delle frontiere agli immigrati. A meno che un paese abbia forti istituzioni culturali e civili, i nuovi immigrati hanno il potenziale per frammentare la cultura prevalente. In questo modo i paesi affrontano o un declino della ricchezza relativa oppure un indebolimento del tessuto culturale. Le nazioni prospere non possono godere della loro prosperità se non diventando multiculturali. Ma se diventano multiculturali faticano a perseguire scopi unitari a livello nazionale”.
Ciò che garantisce ricchezza alle nazioni è la stessa cosa che ne minaccia la stabilità sociale e culturale, un meccanismo fatto di conseguenze involontarie in cui le buone intenzioni finiscono per partorire figli che uccidono i genitori. Gli scaffali della saggistica politico-economica si stanno riempiendo di volumi che sostengono tesi analoghe: la frammentazione di questi tempi non è l’esito di decisioni infelici, ma di misure perfettamente razionali che contengono un’anima oscura, un doppio fondo contraddittorio. Anche l’intellettuale conservatore Yuval Levin nel suo “The Fragmented Republic” espone uno schema simile a quello di Buchholz, limitandosi però alla situazione americana. L’economista abbraccia l’intero spettro della contemporaneità occidentale: gli scricchiolii dell’edificio dell’Unione europea a dispetto di decenni di incremento della ricchezza sono per Buchholz una prova non tanto della malvagità del progetto europeo quanto dell’imperfezione strutturale che caratterizza qualunque sistema economico e politico. Più il sistema è efficace, più la fallacia è difficile da scovare, si nasconde fra le pieghe della storia. Nel caso dell’ordine liberale e capitalista, la prosperità che questo ha garantito all’occidente ce lo ha fatto scambiare per un destino ineluttabile ed eterno, una storia chiusa da un lieto fine aperto e multiculturale, mentre ora la prosperità presenta il conto.