L'Iran non ha mai smesso lo shopping nucleare. La lezione di Bibi
Roma. L’Iran ha cercato di acquisire tecnologia legata alla proliferazione nucleare anche dopo la chiusura del deal firmato a Vienna con le potenze occidentali esattamente un anno fa. Lo scrive nel suo report annuale, presentato questa settimana e ripreso da alcune testate tra cui il Financial Times, il Bundesamt für Verfassungsschutz (Bfv), il servizio d’intelligence interno della Germania. Per tutto il 2015 le “attività illegali (da parte della Repubblica islamica, ndr) di acquisizione in Germania di materiali legati alla proliferazione, registrate dall’ufficio federale per la Protezione della Costituzione, sono continuate a livelli quantitativamente alti anche secondo gli standard internazionali. Questo riguarda in particolare strumentazione che può essere usata nel campo della tecnologia nucleare”.
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, l'inviato speciale americano per la Siria Staffan de Mistura e il segretario di stato americano John Kerry nel 2015 durante gli accordi di Vienna (foto LaPresse)
Nel 2015, specifica l’intelligence tedesca, gli agenti del controspionaggio hanno registrato 141 tentativi di acquisire tecnologia a scopo di “proliferazione”. Sono quasi il doppio rispetto all’anno precedente e un centinaio di essi è riconducibile all’Iran. Secondo il Ft il report, inoltre, lascia capire che parte di queste transizioni è avvenuta dopo il deal di luglio. Non è sicuro che questi abboccamenti nucleari degli ayatollah violino il deal di Vienna. Il report tedesco mostra infatti come l’Iran abbia cercato soprattutto di acquisire tecnologia per la costruzione di missili che potrebbero essere usati per il trasporto di armi nucleari – e il programma di missili balistici di Teheran è escluso dai termini dell’accordo con l’occidente.
Ma anche se l’Iran non ha violato il deal, i movimenti registrati dall’intelligence tedesca sono la prova del fatto che l’ambizione egemonica, militare e possibilmente anche nucleare di Teheran non si è mai esaurita. Lo mostrano i test continui di missili balistici in violazione delle risoluzioni Onu, l’ultimo dei quali a marzo, i tentativi di dominio regionale espresso in Siria, e i continui appelli alla distruzione dei propri nemici, primo tra i quali vi è ovviamente Israele. Alla parata annuale che gli ayatollah organizzano ogni anno per Gerusalemme, la settimana scorsa il “moderato” presidente Hassan Rohani assieme a tutta la leadership iraniana ha rivendicato ancora una volta la distruzione completa dello stato ebraico, che da tempo, però, ha imparato a difendersi da solo da questo tipo di minacce.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu (foto LaPresse)
Lo ha ricordato questa settimana il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in visita in Ruanda al memoriale del genocidio del 1994, esempio ancora sanguinante dell’impotenza a volte colpevole della comunità internazionale. “Anche il mio popolo conosce il dolore del genocidio”, ha detto. Ed entrambi i popoli “hanno imparato lezioni importanti dal loro tragico passato. Il genocidio è preceduto dall’incitamento all’omicidio di massa”, dal tentativo di “deumanizzare le persone prima che siano uccise”. E’ quello che è successo in Ruanda, è quello che è successo agli ebrei per mano dei nazisti, ma il riferimento di Netanyahu va all’incitamento all’odio che ancora oggi colpisce Israele. La seconda lezione è che “in tempi difficili, dobbiamo essere in grado di difenderci da soli”. Entrambi i nostri popoli, ha detto Bibi, hanno visto il fallimento della comunità internazionale nel prevenire il genocidio, e hanno appreso che “dobbiamo avere la capacità di difenderci da soli… E questo è quello a cui ho dedicato la mia vita”. Dal punto di vista di Netanyahu, il deal iraniano è l’ennesimo, e forse il più grave, simbolo dell’inadeguatezza della comunità internazionale. Tra molte altre prove, i dati dell’intelligence tedesca mostrano le sue ragioni.