Quell'istinto conservatore dei ragazzi giapponesi che hanno premiato Abe
Roma. Se dovessero sceneggiare un film sul Giappone moderno, probabilmente l’inquadratura iniziale sarebbe sui tradizionali fiori rossi che l’altro ieri, durante lo spoglio dei voti, un raggiante Shinzo Abe attaccava al tabellone accanto ai nomi dei candidati vincenti del suo partito. Le elezioni di domenica, per il Partito liberal democratico guidato dal premier giapponese Shinzo Abe, sono andate meglio del previsto. Si votava per la Camera alta, quella dei consiglieri, e il Partito liberal democratico, insieme con il suo partito di coalizione, il Komeito, e ad altri più piccoli e indipendenti alleati del governo, adesso ne controlla i due terzi. Dei 121 seggi da eleggere in questa tornata – in Giappone la Camera alta si rinnova per metà ogni triennio – il partito di Abe ne ha vinti 56, il Komeito 14, per un totale di settanta “senatori” che sono molto più dei 61 che servivano ad Abe per avere una maggioranza qualificata. E secondo Yuri Kageyama dell’Associated Press “il numero potrebbe salire se alcuni candidati indipendenti aderissero alla coalizione, un’eventualità piuttosto comune nelle elezioni giapponesi”. La Camera dei consiglieri ha meno poteri rispetto alla Camera dei rappresentanti (dove già i due terzi dei deputati fanno parte della coalizione di governo sin dalle elezioni anticipate del 2014) ma conquistarla era determinante per un aspetto cruciale della futura politica di Abe: la riforma della Costituzione, che in Giappone è rimasta inviolata da più di 70 anni. In particolare si tratta di iniziare il processo di modifica del discusso articolo 9, quello che obbliga Tokyo a rinunciare ad avere un esercito regolare. Da quando è salito al potere per la seconda volta, nel 2012, Shinzo Abe sta lentamente avvicinando i cittadini a un nuovo Giappone, con un ruolo più “assertivo” – anche militarmente – nell’area del Pacifico. Ma il processo è lungo: la Costituzione giapponese è tra le più rigide del mondo, e qualunque riforma deve essere subordinata anche a un referendum popolare. Secondo il Wall Street Journal, la chiusura della Borsa di Tokyo a + 4 per cento ieri sera indica anche una certa fiducia degli investitori: Abe ha promesso domenica che il governo si metterà a studiare già da oggi un nuovo pacchetto di stimoli per l’autunno.
Le elezioni di domenica sono state le prime a cui hanno partecipato anche i diciottenni giapponesi. E’ stato Abe a volere lo scorso anno una riforma elettorale che abbassasse l’età degli aventi diritto al voto dai 20 ai 18 anni. Secondo gli exit poll pubblicati ieri dall’Asahi shimbun, il 40 per cento dei giovanissimi ha votato per il Partito liberal democratico, il dieci per cento per il Komeito. Anche se i risultati vanno letti alla luce della bassissima affluenza al voto – domenica ha votato solo il 54 per cento degli aventi diritto, il 45 per cento dei diciotto-diciannovenni – la vittoria del partito conservatore di Abe viene anche dalla strategia di una campagna elettorale volta a coinvolgere i giovanissimi. Una settimana fa Eleanor Warnock sul Wall Street Journal spiegava come il partito di Shinzo Abe e il Komeito avessero reclutato personaggi famosi o inventati come Komesuke (un pupazzo a forma di chicco di riso) per spiegare la politica ai ragazzi. Quando gli chiediamo se sia possibile fare un parallelo tra i giovani giapponesi che votano Abe e gli europeisti inglesi che votano per Bruxelles, Peter Tasker, scrittore e giornalista, uno dei massimi esperti di affari nipponici, ride: “Si è tentato di tracciare un parallelismo tra la Brexit e Abe, ma penso che siano cose molto diverse”, dice Tasker. “La Brexit è stata inaspettata. L'analisi del voto dimostra che le persone meno istruite, della classi operaie, hanno votato per l’uscita dall’Europa. Così hanno rifiutato i consigli dei politici, delle imprese e delle istituzioni finanziarie, dei leader religiosi, degli economisti e di quasi tutti i leader stranieri, da Obama a Xi Jinping. Devi ammettere che è abbastanza divertente!”. E’ un voto che premia Shinzo Abe? “Il suo risultato non è inaspettato, anche se forse il margine di vittoria è stato un po’ più alto del previsto. Abe ha già stravinto tre volte negli ultimi 4 anni. Il suo indice di gradimento è stato sempre alto. In più è un uomo di establishment in tutto e per tutto. Suo padre era ministro degli Esteri e stava diventando primo ministro subito prima di morire. Il nonno materno è stato primo ministro e il suo prozio ha vinto il Nobel per la Pace. Chi vota per Abe vota per qualcosa che conosce bene, non per mine vaganti come Farage e Johnson”.
Anche se in questo momento l’Abenomics è impantanata, per Tasker “il problema è lo yen troppo forte, ma gli indicatori economici domestici sono piuttosto buoni”. La maggioranza nelle due Camere servirà davvero a modificare la Carta – e tutti gli equilibri del Pacifico? “Per farlo accadere, Abe avrà bisogno del sostegno dei partiti di coalizione, tra cui il pacifista Komeito, e dovrà vincere un referendum”, spiega Tasker. “E’ un compito arduo, ma potrebbe funzionare con una spinta economica. L’attuale Costituzione non è adatta al mondo di oggi e prima o poi dovrà essere riformata, resta da vedere se Shinzo Abe è l’uomo giusto per farlo. I giapponesi non sono entusiasti della riforma, ma hanno paura della Cina, e non sanno per quanto ancora potranno contare sulla difesa americana. Trump potrebbe non vincere le prossime elezioni, ma potrebbe farlo l’idea che Giappone e Corea del sud non hanno bisogno di Washington”.