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Il Sultano Erdogan sotto attacco

La lunga notte turca

Mario Sechi

Chi ispira il colpo di Stato? Chi lo guida? E’ un’avventura dominata da terribili incognite. Stati Uniti e Europa sono spettatori, proprio nel momento della loro crisi. Se nell’esercito c’è accordo, il putsch avrà successo. Se c’è divisione tra le Forze armate, tutto è possibile, anche la guerra civile - di Mario Sechi

Dopo la strage del Bataclan, nei giorni sanguinosi e drammatici dell’Europa che seguirono quel maledetto venerdì 13 novembre del 2015, Erdogan ingaggiò con l’Unione europea un confronto ruvido, privo di diplomazia, al limite della rottura. Il presidente turco sapeva di avere in mano un’arma micidiale, la chiave dei confini con la Siria, il rubinetto della disperazione che poteva aprire e chiudere a suo piacimento. L’invasione dell’Europa. Le coste della Grecia erano colme di uomini, donne e bambini che fuggivano dalla guerra. L’Italia temeva la chiusura dei confini al Nord e il riversamento sull’Adriatico. La Germania e la Francia premevano per un accordo, bisognava rompere l’assedio. Erdogan ottenne facilmente tutto quello che chiedeva, con una serie di minacce – rivelate dal Foglio – e un assegno miliardario da parte dell’Unione con garanzie pari a quasi zero e un incasso immediato per il governo. Oggi sappiamo perché Erdogan agiva così. Era in cerca di una via d’uscita al caos politico della Turchia. Ancora una volta, con spregiudicatezza, portava a casa un risultato fulmineo che però non gli garantiva la stabilità, la forza per convincere tutte le forze della Turchia. Stretto tra l’islamismo imperante, le divisioni crescenti dell’Esercito e la difficile convivenza della sua politica bizantina con la Nato e la collaborazione con l’Unione europea, Erdogan ha finito per essere vittima di se stesso. Mentre scriviamo, non sappiamo quali saranno gli esiti del colpo di Stato in corso in Turchia, ma una cosa è certa: Erdogan è un leader che ha fallito. E’ una terribile lezione per gli Stati Uniti e l’Unione europea quella che arriva in queste ore. Washington ha avuto con la Turchia un atteggiamento bifronte, mai chiaro fino in fondo. Ha concesso a Erdogan lo spazio per tiranneggiare con i curdi e fare il gioco dello Stato Islamico, lo ha usato contro la Russia di Putin, ma alla fine della fiera Obama si ritrova con un membro della Nato sotto colpo di Stato. Un capolavoro. L’Unione ha trattato con Erdogan, si fa per dire, la sua immunità in cambio dei suoi confini e il risultato è sotto gli occhi di tutti: rischia di avere un patto firmato con nessuno. Con la guerra in Siria nel pieno del suo svolgimento e le frontiere da un momento all’altro di nuovo virtualmente – e forse tra qualche ora praticamente – aperte.

 

In una schizofrenia tipica del personaggio, in un mascheramento continuo e apparentemente senza logica, Erdogan nelle ultime settimane aveva ricucito con Mosca (scuse accolte come un soffio di vento siberiano da parte di Lavrov e Putin), cercando di puntellare tutte le mura del suo sempre più instabile palazzo. Tutto e il contrario di tutto, con una botola pronta ad accogliere l’avversario di turno, Bisanzio. Stasera la trappola è scatta per Erdogan. L’esercito turco è lo stato, la sua colonna vertebrale, l’unica istituzione non transeunte. Chi ha fatto decollare gli F-16, chiusi i ponti sul Bosforo, messo sotto controllo i centri di comando, controllo e comunicazione dice di volere un ritorno alla Costituzione e di voler rispettare la legge, senza interrompere le relazioni internazionali. E’ un dopo-Erdogan che potrebbe fermare la discesa del paese verso una teocrazia dirigista, ma l’esito non è scontato. Chi ispira il colpo di Stato? Chi lo guida? E’ un’avventura dominata da terribili incognite. Se nell’esercito c’è accordo, il putsch avrà successo. Se c’è divisione tra le Forze armate, tutto è possibile, anche la guerra civile.

 

 

 

Stati Uniti e Europa sono spettatori di uno spettacolo ad alto voltaggio, proprio nel momento della loro crisi. Washington fa i conti con una campagna presidenziale al fulmicotone, con candidati che polarizzano l’elettorato, in un paese spaccato, con una divisione tra bianchi e neri che non si vedeva dagli anni Settanta. L’Europa ha appena subito la lacerazione della Brexit, ha la Francia ferita al cuore e le istituzioni che stentano a trovare una risposta unitaria alle sfide della contemporaneità. La Turchia di Erdogan era l’unica porta stagna che rimaneva tra il caos mediorentale e l’Europa. Ora anche quel muro pagato a suon di miliardi di euro potrebbe saltare. La Nato si ritrova – subito dopo il vertice di Varsavia di qualche giorno fa – con un carico di nitroglecerina tra le mani: la Turchia è nella Nato, in questo momento nessuno sa chi comanda a Ankara. Non è la prima volta che accade, fu così anche in Grecia, Portogallo e Spagna. Ma non si tratta di una passeggiata. Quando in Portogallo vi fu la rivoluzione dei Garofani (1974), gli Stati Uniti entrarono in un periodo di fibrillazione enorme. E l’Italia si ritrovò in mezzo allo scenario a svolgere un ruolo di contrappeso delle varie forze. Nei colloqui tra Leone, Moro, Rumor, il presidente Gerald Ford e Henry Kissinger la Casa Bianca usò parole durissime e la permanenza nella Nato fu messa in discussione. E’ storia, tutto è cambiato, ma la Turchia resta, la geografia non è un’opinione, il Bosforo resta la porta verso Oriente. Sorgerà il sole o è cominciata una lunga notte armata?

 

 

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