Fischi per Valls e discordia in Francia
Milano. Il minuto di silenzio previsto lunedì, a mezzogiorno, a Nizza per commemorare le vittime dell’attentato del 14 luglio – 84 morti – si è trasformato nel momento in cui l’esasperazione della vita pubblica francese è apparsa palpabile e dolorosa. Lo spirito di unità nazionale che aveva caratterizzato la Francia – e il mondo intero – diciotto mesi e 230 morti per terrorismo fa, nel gennaio del 2015 con l’attentato a Charlie Hebdo, non esiste più: venerdì scorso, quando il presidente François Hollande si era presentato a Nizza mentre ancora la dimensione dell’attacco stava prendendo forma, c’erano stati dei brusii nella folla, urla di stizza e di rancore verso un leader che è accusato di non fare abbastanza per combattere il terrorismo, o di non fare le cose giuste.
Lunedì, quando a Nizza è arrivato il premier Manuel Valls, che da sempre si è intestato il ruolo del più duro nei confronti del jihadismo – è lui ad aver parlato di fascismo islamico, è lui che ancora lunedì ricordava che l’attentatore, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, è “comunque legato all’islam”, quando invece si sta imponendo l’idea che il giovane allegrotto immortalato in canotta mentre faceva i suoi sopralluoghi sulla Promenade fosse soltanto uno psicopatico – dalla folla si sono alzati insulti e urla del tipo “il terrorista sei tu”, “dimettiti”. Una reazione “indegna”, ha detto il premier a Nice Matin poco dopo, ma secondo alcune rilevazioni – pubblicate lunedì mattina dal Figaro – l’esasperazione non è mai stata tanto grande nel paese: la minaccia terroristica è considerata altissima e allo stesso tempo la fiducia in questa classe politica è piombata ancora più verso il basso (la popolarità non è da tempo un’ambizione di Hollande).
I giornali francesi parlano della “lunga agonia” dell’unità nazionale, sostituita dalla “colère” e da uno scontro politico molto acceso. Se il Front national rivendica un aumento enorme di iscritti, è Nicolas Sarkozy, ex presidente gollista che vuole tornare presidente, ad aver attaccato con più veemenza l’operato del governo. Le elezioni si terranno tra poco meno di un anno, ma di fronte allo choc la strumentalizzazione politica ha preso il sopravvento su un’unità che è andata via via logorandosi assieme alla soliderietà internazionale. “Tutto quel che avremmo dovuto fare in 18 mesi non è stato fatto”, ha detto Sarkozy domenica, mettendosi sul fronte già aperto dal suo rivale nelle primarie della destra (che si terranno nella seconda metà di novembre), il sindaco di Bordeaux Alain Juppé, che venerdì mattina rapidissimo aveva sentenziato: “Questo attentato poteva essere evitato”.
Le polemiche sull’operato del governo sono molte: i funzionari che si occupano di antiterrorismo dicono di non essere stati ascoltati, l’app introdotta dopo il 13 novembre da attivare in caso di attacchi terroristici non ha funzionato, il sindaco di Nizza Christian Estrosi dice che c’erano troppe poche forze di sicurezza, e sì che era comunque la festa nazionale, le dichiarazioni del ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, sulla possibilità di altri attentati sono state prese come una dichiarazione di resa. Sarkozy ha provato a definire i dettagli di un nuovo piano di antiterrorismo, ma alcuni elementi che ha elencato sono già stati adottati – i centri di deradicalizzazione e la possibilità di chiudere centri di culto considerati “radicali” – e altri non sono applicabili sulla base delle normative esistenti – come l’arresto o l’espulsione di tutti i sospetti islamisti che compaiono nelle Fiches S.
Il governo si è unito nel rispondere a Sarkozy che “nessun altro esecutivo ha fatto così tanto contro la minaccia terroristica”, ha rilanciato un nuovo “schema” per contrastare l’offensiva terroristica sul territorio e una continua e fattiva partecipazione ai bombardamenti della coalizione anti Stato islamico in Siria e Iraq, ma la discussione, nel paese, ha preso una forma ormai molto diversa da quella del passato. Parigi ha adottato molte misure di sicurezza anche dure, ma il problema – come segnalano molti intellettuali – è più culturale che tattico. Sarkozy si vuole intestare il primato sulla sicurezza, ma la consapevolezza di una guerra permanente implica una rivoluzione di tutta la postura ideologica nei confronti del terrorismo, anche di quella destra che a Nizza e dintorni ha i suoi feudi.