Il terrorismo islamico nasce da lucida teologia. Tutti i danni generati dall'alibi della follia
Il trauma degli attentati non è rimovibile se non combattendo i martiri con una forza incomparabilmente superiore a quella messa in campo. L’idea di rendere il terrorismo irrazionale, dunque inspiegabile, è perfettamente razionale: se il terrorismo è senza senso, possiamo non farci troppe domande e possiamo associare l’immagine traumatica a un gesto isolato e difficilmente replicabile.
Alcuni anni fa, una ricerca americana realizzata da un pool di scienziati della New York University sperimentò per la prima volta nella storia un metodo quasi infallibile per bloccare i brutti ricordi prima ancora che questi vengano inscatolati nella memoria cerebrale. Per combattere le fobie, dissero le neuroscienziate Daniela Schiller ed Elizabeth Phelps basandosi su una serie di esperimenti realizzati prima sui topi e poi sugli uomini, bisogna che il ricordo scioccante venga manipolato entro sei ore da un fatto traumatico in modo da poter cancellare il sentimento di paura che si accompagna a un determinato evento. Il metodo si chiama “training di estinzione” e funziona così: si associa la visione di un quadrato blu emesso da un computer con una lieve scossa al livello del polso, in modo da abbinare l’emozione della paura a un determinato oggetto colorato, e una volta provocato il trauma si dividono le cavie in due categorie: a un primo gruppo di pazienti, dieci minuti dopo il trauma, si offre per una serie di volte lo stesso quadrato blu, eliminando la scossa; a un secondo gruppo di pazienti si offre la stessa cura, ma la si propone il giorno dopo. Il primo gruppo riesce a rimuovere il ricordo traumatico. Il secondo gruppo no. Semplice e lineare. Il metodo del training di estinzione, seppur su un altro terreno, coincide perfettamente con la tecnica adottata da molti osservatori progressisti ogni volta che sono costretti a commentare la strage compiuta da un terrorista islamico. La tecnica è simile a quella dei quadrati blu: subito dopo un evento traumatico, per combattere una fobia particolare (l’islamofobia), si bombarda la testa dei lettori con immagini rassicuranti che tendono a descrivere il terrorista con alcune definizioni che lasciano intendere che l’autore del gesto traumatico sia soltanto un pazzo omicida, un folle senza scrupoli, un lupo solitario, un disadattato, uno squilibrato, uno schizzato in preda a un raptus omicida, un uomo spinto alla follia da un disagio sociale generato da un occidente miope, egoista e guerrafondaio che non si occupa a sufficienza dell’inclusione degli ultimi.
Negli ultimi giorni, come già successo a seguito di “gesti isolati” come quello di Orlando o San Bernardino, il metodo è stato usato anche con il terrorista di Nizza, descritto da molti giornali (soprattutto Repubblica ma non solo) come un lupo solitario autore di un gesto isolato. E non c’è dubbio che l’idea di rendere il terrorismo irrazionale, privo di senso, dunque inspiegabile, sia perfettamente razionale: se il terrorismo è senza senso, compiuto da un disadattato impazzito per un matrimonio finito male, possiamo non farci troppe domande (cos’è l’islam?) e possiamo associare l’immagine traumatica non a un evento che si può ripetere (il jihad) ma a un gesto isolato e difficilmente replicabile (il raptus). Lo sforzo è generoso e persino comprensibile, anche se a voler forzare la mano ci si imbatte a volte in alcuni autogol (notizia sul Corriere di sabato: su dieci terroristi, “solo” uno è schizofrenico; ma no dovremmo dire che su dieci terroristi nove sono perfettamente sani di mente?). Ma il metodo, a ben vedere, è indice di un approccio distorto (irrazionale) con la realtà che ci porta a non comprendere una questione elementare: il jihad, in tutte le sue forme, anche quelle individuali, è una manifestazione lucida e razionale di una teologia alla base della quale si possono trovare tutte le ragioni che portano i sostenitori del jihad a lanciare campagne genocide contro gli yazidi e i cristiani in Iraq, a tagliare le gole agli apostati, a punire con la morte gli omosessuali, a passare con un Tir sopra il corpo di ottantaquattro francesi colpevoli di essere figli di un occidente infedele. Il “gesto” isolato di un folle coincide in realtà con una sequenza di stragi ispirate da un messaggio sanguinario che trova una sua precisa giustificazione nei versetti del Corano e che risponde a un’ideologia sì medievale e violenta (uccidete gli infedeli con tutti i mezzi possibili anche quelli individuali) ma che purtroppo folle non è.
La non comprensione dell’islamismo, e della sua interpretazione più radicale, il nostro voler chiudere gli occhi di fronte alla radice culturale di chi si fa portavoce del jihad, è forse la grande differenza tra il terrorismo di oggi, quello di matrice islamista, e quello di ieri in Italia, per esempio quello legato alle Brigate Rosse. Per sconfiggere le Brigate Rosse furono necessari tre step: riconoscere che le azioni terroristiche non erano portate avanti da persone disturbate; mettere a fuoco, per contrastarla, l’ideologia che spingeva i terroristi ad agire; e passare dalla fase dei compagni o fascisti che sbagliano alla fase di nemici del popolo che andavano combattuti con tutti i mezzi possibili. Per sconfiggere i martiri della guerra santa non si può dire che siano sufficienti i tre step (i professionisti della rimozione erano in forza anche ai tempi del terrorismo brigatista) ma i tre passaggi sono comunque necessari per non rimanere ancora a lungo muti e immobili tra chi considera il jihad un atto di pazzia individuale o al massimo un gesto traumatico portato avanti da qualche compagno che sbaglia. Al lettore impaurito si possono offrire tutti i quadratini blu del mondo ma più si cercheranno alibi rassicuranti meno si capirà che il trauma non è rimovibile se non combattendo i martiri con una forza incomparabilmente superiore a quella messa in campo da chi sceglie di uccidere (e di uccidersi) in nome del jihad.