Intervista al leader olandese
Così Geert Wilders vede in Trump il leader della “storia ricominciata”
Cleveland, dal nostro inviato. Geert Wilders guarda con divertito trasporto lo spettacolo della democrazia americana. L’occhio disilluso e snob di un europeo può trovare ampollosi e pure un po’ goffi certi rituali, ma il leader del Party for Freedom olandese è un ultrà delle appartenenze nazionaliste, ai suoi occhi la convention repubblicana al tempo di Donald Trump è un trionfo identitario fatto di simboli contrastanti, dai cappelli dei cowboy texani ai capelli del più tricologico dei leader globali. Quando i delegati si mettono a urlare, sovrastandosi con cori da stadio per una questione procedurale che potrebbe dare agli avversari di Trump la chance di esprimere il loro dissenso, lui si compiace: “La democrazia è anche turbolenza”, dice al Foglio.
E’ la prima volta che assiste alla convention di un partito americano, lo ha invitato la sezione locale del Tennessee, con la quale ha rapporti da anni, e mostra accuratamente il badge che ha al collo, come a voler chiarire che lui non è un imbucato in cerca di un selfie con Trump: “Sono affascinato da questo evento, mi sto godendo ogni minuto qui in America, specialmente con un candidato del genere”. Wilders non è un ammiratore “estetico” di Trump, il quale non è l’incarnazione del suo ideale politico ma l’interprete (inconsapevole?) di un momento cruciale che sta attraversando l’occidente: “L’America sta vivendo esattamente la stessa situazione dell’Unione europea: un’enorme disconnessione fra l’élite e il popolo. La crescente influenza dell’immigrazione e le insicurezze economiche hanno indotto un bisogno di protezione enorme nelle persone, soltanto che la vecchia classe dirigente vive su un altro pianeta e non ha nemmeno idea di quello che la gente chiede”.
“Qualunque cosa si possa pensare di Donald Trump, mette gli interessi della gente al primo posto”, continua Wilders. “Questa è la grande lezione che sta dando a tutti, anche quando dice cose che non sono nell’interesse dell’Olanda o dell’Italia”. Nigel Farage, che oggi arriva a Cleveland per diffondere il verbo della Brexit, è una presenza che rafforza il concetto. Osservando la prima giornata della convention, Wilders nota che l’immigrazione è la “issue” che più acutamente sintetizza ed esprime il disagio della classe media, in America come in Europa: “Anche prima della strage di Nizza, il capo dell’intelligence francese ha detto che la Francia è a un passo dalla guerra civile. Sono un democratico, voglio che vinca la democrazia. Già un anno fa quando ero venuto per un breve tour in America la gente che incontravo mi diceva che Trump ce la poteva fare. In questi giorni parlo con più persone possibile, gente comune che incontro quando vado a mangiare un hamburger da T.G.I. Friday’s, e da tutti sento un profondo malcontento per la lontananza dell’élite dai loro bisogni”.
Allargando ancora l’orizzonte si arriva a dipingere Trump come il prototipo del leader della “storia ricominciata”: le profezie sulla fine della storia e il trionfo ineluttabile della democrazia internazionalista e globalizzata sono state sfatate e sostituite da un revival nazionalista e identitario. Quando Trump dice che “lo stato-nazione rimane il vero fondamento della felicità e dell’armonia” tocca il cuore di Wilders, che accarezza l’idea di un’alleanza pan-occidentale in cui tutti sono uniti dal comune intento di conservare e nutrire la propria identità specifica: “Trump non smentisce un’idea globalista che è diffusa soltanto nel Partito democratico, ma è anche la base del Partito repubblicano così come lo conosciamo. E’ un vero outsider, uno che ha messo sottosopra il Gop semplicemente facendosi portavoce delle richieste della gente. Cosa chiede la gente? Sicurezza personale e stabilità economica, ma chiede anche di potere essere orgogliosa di appartenere alla propria patria. Guardati intorno… Questo è uno dei paesi più patriottici del mondo, e forse potrà insegnarci che il nazionalismo non è portatore di un male, nonostante le degenerazioni che la storia ci ha mostrato”. Il relativismo culturale accompagnato dal suo fido scudiero, il politicamente corretto, secondo Wilders hanno trasformato ogni patriota in un fanatico pericoloso.
“Questa è gente che desidera appartenere a qualcosa, sentirsi parte di un progetto grande che la rappresenti, non vogliono essere ingranaggi di un meccanismo burocratico. Dopo la fine della Guerra fredda la storia non soltanto non è finita, ma ci ha mostrato che dobbiamo reinventare la società per trovare modelli adatti alle esigenze del nostro tempo”. Ma se sul carro di Donald si buttano suprematisti bianchi e razzisti di varie fogge? “Deve tenere la guardia alta e non lasciarsi distrarre da gruppuscoli fascisti che disturbano il suo progetto”, dice Wilders. Con un sorriso sornione scende le scale della Quicken Loans arena di Cleveland, formulando la definizione sintetica di Trump visto da un leader identitario europeo: “Un dono di Dio”.