Quel parallelismo tra Brexit e Trump che fa sognare la kermesse di Cleveland
Milano. Nigel Farage è alla convention dei repubblicani per esportare la Brexit negli Stati Uniti, un osservatore con una ricetta nazionalista di recente e inatteso successo senza velleità di endorsement, anzi: quasi quasi, il covo Brexit si sposterà anche dai democratici, la settimana prossima a Filadelfia. Farage non è più il leader degli indipendentisti britannici dell’Ukip – si è dimesso, è rimasto parlamentare europeo – ma la Brexit è la vittoria della sua carriera, della sua vita, e la porta con orgoglio presso quel pubblico che si è subito detto entusiasta dell’esito referendario inglese. Donald Trump “ha il coraggio di parlare di questioni che gli altri mettono sotto il tappeto – ha detto Farage intervistato alla Cnn – Per il Regno Unito Trump sarebbe meglio rispetto a Barack Obama, su questo non c’è alcun dubbio”.
Pesa ancora l’ingerenza obamiana sul referendum, la visita a Londra che si è poi rivelata inutile ma che allora fece alzare un coro di ragionevolezza da cui Farage non poteva che rimanere escluso. Ora l’ex leader dell’Ukip si prende la rivincita, dice che non voterebbe Hillary Clinton per nessuna ragione al mondo, e organizza incontri a Cleveland per spiegare la formula del suo successo, che di solito ha sempre a che fare con qualche muro o qualche immigrato – tema caldissimo alla kermesse trumpiana, tra le spillette più gettonate c’è quella bianca con i mattoni “Build the wall!”. “Provate a immaginare come sarebbe per voi se ci fosse libera circolazione della gente dal Messico – dice Farage – Come vi sentireste? Non vi piacerebbe, ecco perché anche noi inglesi abbiamo ribadito i nostri diritti”.
Nigel Farage (foto LaPresse)
Arrivo e racconto la mia storia, ha detto Farage intervistato da Politico, ci sono molti strateghi repubblicani che vogliono sapere com’è che è andata così bene una battaglia come la Brexit che aveva contro tutto l’establishment globale, “sarà interessante parlare di quel che noi definiamo M25 (il raccordo anulare di Londra, ndr), di quel che avviene lì dentro e soprattutto di quel che avviene fuori, e confrontarlo con la Washington Beltway” – l’élite vs “the people”, la grande frattura che caratterizza il Regno Unito, molte parti d’Europa e che sta andando in scena, con i suoi modi pacchiani, nello show di Cleveland.
Farage non arriva da solo alla corte di Trump. Il Leave.Eu, l’organizzazione che aveva gestito la campagna referendaria pro Brexit dell’Ukip (diversa da quella dei Tory à la Boris Johnson), sponsorizza un pranzo oggi in cui Farage è la star, ma compaiono anche parlamentari europei pro Brexit oltre che esponenti repubblicani che sono curiosi di sentir parlare di sovranità e nazionalismo con toni che in Europa non si sentono spesso e che in America stanno prendendo piede assieme al trumpismo. In realtà il giubilo nei confronti della Brexit non riguarda soltanto Trump – che non sapeva nemmeno cosa fosse, la Brexit, fino a che non si è trovato il giorno del risultato a brindare assieme al ritrovato alleato Rupert Murdoch nel ristorante del suo campo da golf in Scozia – ma anche altri repubblicani, come Ted Cruz, ex candidato-rivale di Trump che a differenza di tanti altri suoi colleghi si è presentato a Cleveland: “Gli inglesi hanno segnato un nuovo percorso per la loro nazione – ha detto Cruz qualche giorno fa – fondato sul ritrovamento del principio della sovranità nazionale che è amatissimo là come negli Stati Uniti”.
I parallelismi tra il trumpismo e la Brexit si sprecano, se si va a curiosare tra gli addetti ai lavori si trova che l’obamiano Jim Messina ha orchestrato la campagna anti Brexit (è il primo suo clamoroso fallimento) mentre il meno noto Gerry Gunster, guru americano, ha lavorato assieme a Farage. Forse Farage non ha lezioni da dare – anche se lui ci tiene a rivendersi come il grande saggio, dal momento che a casa sua la leadership gli è stata sfilata dallo stesso finanziatore che l’aveva creata – ma il messaggio che passa, nelle contaminazioni tra Europa e Trump, è che i politici “law and order” che mettono la nazione al primo posto (“America first”) stanno spaccando le alleanze elettorali tradizionali. Come è noto, molti laburisti hanno votato a favore della Brexit, e molti elettori che non votavano da anni sono andati al referendum per sostenere l’uscita dall’Ue. Si tratta in particolare di quella “working class” che si è sentita tradita dalla politica proprio mentre la crisi economica ha determinato un suo progressivo impoverimento, si tratta di quella fetta di americani su cui Trump vuol costruire il suo impero presidenziale.