S'apre il bazaar al Parlamento di Madrid (senza più tutti i baci)
Voti segreti, retroscena e patti sottobanco. Mariano Rajoy a caccia della riconferma, in mezzo al tatticismo dei partiti
Roma. L’apertura dei lavori del Parlamento spagnolo, che ha inaugurato la nuova legislatura scaturita dalle elezioni del 26 giugno, ha mostrato ancora una volta che nulla è cambiato perché cambiasse tutto. Esattamente come alle urne il ranking d’arrivo dei partiti è rimasto lo stesso delle elezioni fallimentari di dicembre 2015 ma dietro a numeri simili si sono iniziate a vedere nuove alleanze e maggioranze finalmente realizzabili, allo stesso modo un Parlamento tanto simile a quello appena dissolto da sembrarne la fotocopia è in realtà tutto diverso, e non solo per quella decina abbondante di seggi passata al Partito popolare che potrebbe consentire la riconferma di Mariano Rajoy come premier spagnolo. Il Parlamento di gennaio vedeva l’esordio dei deputati dei partiti emergenti, Podemos e Ciudadanos, che tenevano molto a farsi fotografare mentre si aggiravano come parvenu tra i banchi.
La retorica della scatoletta di tonno di grillina memoria si sprecava, così come le manifestazioni di diversità antropologica dalla “vecchia politica”. Dalla deputata di Podemos Carolina Bescansa che allattava il figlio neonato fino al bacio sulla bocca tra il leader di Podemos Pablo Iglesias e l’indipendentista catalano Xavier Domènech, il Parlamento di gennaio era folcloristico e spettacolare. Quello di luglio è invece umbratile e dimesso, ma non per mancanza di attività. Si dice da mesi che ciò di cui la Spagna ha bisogno, in questa nuova èra di frammentazione politica e alleanze, è prendere spunto dall’arte tutta italiana, sconosciuta a Madrid, dei negoziati sottobanco e dei compromessi politici. Ci hanno messo qualche mese, ma gli spagnoli sembrano aver imparato in fretta, perché nel nuovo Parlamento la fanno già da padrone le conventicole di corridoio e i franchi tiratori negli scrutini segreti, mentre le pagine dei giornali si riempiono di retroscena politici come raramente era successo prima.
I nuovi posizionamenti politici possono già essere intuiti nelle prime votazioni di ieri, quelle per il presidente della Camera – il voto che tutti attendono, quello di fiducia per la formazione di un nuovo governo, non è stato calendarizzato; Rajoy ha detto pochi giorni fa che spera possa avvenire ai primi di agosto. La nomina di Ana Pastor del Partito popolare, “marianista” di ferro, è importante non solo perché dà a Rajoy una pedina di peso, ma anche per le modalità con cui è avvenuta. Pastor è stata eletta con 169 voti, cioè la somma del Partito popolare (137 deputati) e Ciudadanos (32 deputati), in una votazione che fa ben sperare Rajoy in vista dei negoziati con i centristi per il futuro governo. Soprattutto, in un voto separato e a scrutinio segreto, quello per la “mesa”, l’organo di governo della Camera, ai voti di popolari e centristi si sono aggiunti quelli di dieci “franchi tiratori”, probabilmente dei partiti nazionalisti, spettacolo a cui gli spagnoli non sono molto abituati, ma che forse vedranno più volte in questa legislatura.
Esattamente come le votazioni si fanno segrete, così anche i negoziati. E’ finita l’epoca dei grandi annunci di alleanze fatti a mezzo stampa, adesso i partiti si incontrano senza dare nell’occhio, lanciano proposte non confermate, e lasciano ai retroscenisti materiale su cui ricamare. Le ultime notizie vorrebbero un Rajoy pronto a fare un governo di minoranza (ieri alla Camera ha detto che “ritardare o bloccare un nuovo governo sarebbe il peggio”), mentre Rivera, leader centrista di Ciudadanos, avrebbe rifiutato la presidenza della Camera perché ancora – astutamente – vuole tenersi le mani libere per quando la posta in gioco sarà più alta. In Spagna stanno imparando in fretta la lezione italiana.
L'editoriale dell'elefantino