Clinton va sul sicuro (e sul noioso) e sceglie Tim Kaine from Virginia come compagno di ticket
Milano. Per il suo ticket Hillary Clinton fa una scelta d’establishment e punta su Tim Kaine, senatore della Virginia, noioso clintoniano di ferro. Negli ultimi giorni la candidata democratica alla Casa Bianca, che da lunedì apre la sua convention d’incoronazione, aveva fatto sapere di voler prendere una decisione “seria” in risposta allo show trumpiano che era in corso, con i suoi colpi di scena e le sue bizzarrie, a Cleveland. Voglio uno che sappia fare anche il presidente, ha detto Clinton, sottolineando la volontà di non concedersi un pizzico di fantasia. E infatti tra i probabili vicepresidente che sono stati valutati dal team clintoniano, Hillary ha scelto il meno fantasioso, che in curriculum ha uno spagnolo fluente e in dote porta uno stato “battleground” come la Virginia.
Figlio di un saldatore proprietario di una piccola ferramenta nella periferia di Kansas City, Tim Kaine si è formato alla scuola di legge di Harvard e ha iniziato la sua avventura politica in Virginia nel 1994, fino ad arrivare a essere governatore dal 2006 al 2010: proprio nel 2006, quando il suo astro nel mondo democratico era in ascesa, Kaine fece il rebuttal allo stato dell’Unione di George W. Bush e due anni dopo rientrò nella rosa dei possibili vicepresidente di Barack Obama. Oggi, otto anni dopo, Kaine era il favorito del presidente stesso ma soprattutto di Bill Clinton, candidato first husband ed ex presidente a sua volta, che secondo alcune indiscrezioni nei giorni scorsi avrebbe magnificato il solido profilo del senatore in termini di sicurezza e di politica interna. La risposta “law and order” all’appello di Donald Trump condita da una vena liberale – pro libero mercato, pro libero commercio, contrario alle eccessive regolamentazioni – ha fatto già storcere il naso all’ala più radicale del Partito democratico.
Chi si aspettava che il messaggio di Bernie Sanders avrebbe trovato giusta rappresentanza nelle decisioni di Hillary ha realizzato che i “vincitori morali” non godono di lunga gratitudine. Se la Clinton ha modificato parti del suo programma per assecondare il popolo della sinistra rimasto orfano del beniamino Sanders, Kaine riporta il fulcro del ticket al centro, zona d’elezione del clintonismo. Gran sostenitore del Nafta (che è visto come un flagello in quella Rust Belt che teme l’invasione messicana e quindi ha orecchie ben aperte al messaggio del repubblicano Trump) e del Trattato transpacifico che ha causato più di un mal di testa ai cultori della coerenza liberale della Clinton (che si è detta, in una giravolta sontuosa, contraria al Ttp), Kaine fa paura a quegli strateghi che lavorano a testa bassa sul recupero della sinistra-sinistra che su molti temi subisce il fascino del messaggio di chiusura – per le persone e per le merci – della leadership trumpiana. Ma i fiduciosi, come Bill Clinton, dicono che Kaine può essere decisivo per il voto maschile e indipendente che ha le sue origini – come il senatore – nel mid-west. Poi c’è la Viriginia. Secondo una ricostruzione del Wall Street Journal, Bill Clinton è convinto che se sua moglie vince la Virginia potrebbe anche perdere Ohio e Florida ed essere comunque presidente. Naturalmente la Clinton dovrebbe vincere in altri stati “battleground” conquistati da Obama per potersi permettere un lusso del genere, ma le statistiche dicono che, dal 2000, chi vince la Virginia vince tutto.
Ancora una volta il calcolo ha prevalso nelle decisioni di Hillary che ha intenzione di utilizzare la convention della settimana prossima come il palcoscenico della competenza, della precisione, dell’esperienza, contro lo show bislacco di Trump. Kaine è per sua stessa ammissione un uomo poco frivolo, un politico noioso fedelissimo dei Clinton, l’ultima dimostrazione che la candidata democratica non cerca l’audacia, ma vuole battere Trump dalla sua “comfort zone” della secchioneria.