Meglio il Trump italiano
Lo spettacolo più eccitante del mondo purtroppo è finito. Secondo Daniel Drezner, conservatore ripreso da Paul Krugman, quelle di Trump giovedì sera a Cleveland erano apocalyptic bromides, banalità apocalittiche, anche piuttosto noiose, che ora lo spingono, spingono lo stordito Drezner, a stare dalla parte di lei. Piuttosto sincero, spontaneo, non ipocrita. No Donald, yes Hillary. “Ho sempre pensato che i repubblicani credessero in un ruolo ridotto dello stato per liberare il potenziale della libera impresa e della società civile americana. Sotto Trump, invece, il governo federale sarebbe tremendamente preso dal compito di stabilire tariffe, punire compagnie industriali e finanziarie per le loro decisioni di investimento, costruire muri alle frontiere, ripudiare contratti di libero commercio internazionale e conferire tutti i poteri alla polizia, costi quel che costi. Trump non mi sembra quel terribile conservatore che si dipinge, non a me”. It’s morning in America, ma non a Cleveland.
Sarà snob, il professore, non coglie i fermenti e le paure sociali ai quali Trump si collega, il suo è un giudizio da accademico presuntuoso, che disconosce lo stato effettivo dell’America, sia quel che sia; diamo per scontato anche il fatto certificato dal talento di Mattia Ferraresi che Trump non è “avulso dal contesto” (“La febbre di Trump”, Marsilio editore). Va tutto bene, ma settantacinque minuti noiosi detti al teleprompter da un sociopatico pieno di disprezzo narcisista per gli altri, un con man, un truffatore vincente e minaccioso, non sono la mia tazza di tè. Lo spettacolo era l’improvvisazione, la gara, l’emulazione che svelava raddoppiandoli i trucchi dell’establishment low energy o di quel fottutissimo e leonino candidato iperconservatore odiato da tutti, Ted Cruz, quello che ha reso The Donald il bambolotto preferito delle primarie in tutti gli ambienti che contano, il cocco di Maureen Dowd, la Aspesi globale.
Ora che bisogna dire come si governano America e mondo, ora che si viene al dunque, il caos demenziale e fun, alla Monty Python, del blue-collar billionaire che si fa gladiatore nell’arena delle primarie si converte in un grumo psicotico e vendicativo, autoritario e cieco e muto e sordo di vera politica e di agenda. E allora meglio Jon Stewart e Daniel Drezner, sto con lei, me la voto e me la pappo, e si vedrà che fare dopo il terzo mandato di Obama nonostante il disastro evidente che hanno combinato. L’alternativa Trump è la peggiore possibile, e non a eccezione di tutte le altre. Il Trump italiano di venticinque anni fa, il Dark Knight milanese da cui il newyorchese ha copiato tutto, per quanto uomo privato fino in fondo, per quanto affetto anche lui da surrealismo politico, in confronto a questo pupazzone arancione fu uomo di stato e di promessa paragonabile a Churchill, Adenauer, De Gaulle e via esagerando. Mai apocalittico, spesso infantilmente iridescente, ottimista e volitivo, mai banale.