Sulle purghe islamiste, i nostri baroni restano silenti
Roma. 59.628 professori cui è stata ritirata la licenza di insegnamento. 1.577 rettori universitari costretti alle dimissioni. Un clima di persecuzione, delazione e sospetto nelle aule universitarie, nelle scuole, al ministero dell’Istruzione. E’ la grande purga accademica che il presidente turco Recep Erdogan ha lanciato dopo il fallito golpe. Numeri, scrive Newsweek, che ricordano le purghe accademiche in Urss. Alla luce di questa aggressione alla libertà intellettuale in Turchia, uno si aspetterebbe che le legioni accademiche occidentali siano in fermento per dimostrare solidarietà ai colleghi turchi assediati. Eppure, campioni della libertà che hanno abbracciato il “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni” contro Israele, come l’American Anthropological Association o l’American Studies Association, non trovano il tempo di lanciare campagne contro la purga turca, indegna anche di un sopracciglio di sussiego. In Inghilterra, la National Association of Teachers in Further and Higher Education e la Association of University Teachers, che hanno adottato il boicottaggio di Israele, non hanno parlato di Turchia. Stesso silenzio dalla US Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel, cui hanno aderito cinquecento professori americani. Silenti i trecento accademici italiani che hanno promosso il boicottaggio israeliano.
Tutta l’ira va riservata all’unica democrazia del medio oriente, quell’Israele dove la libertà accademica vale anche per i più acerrimi critici dello stato ebraico. “Ehi, professori amanti del Bds, perché siete così quieti sull’assalto accademico in Turchia?”, si domandava ieri la rivista americana Tablet. Una doppia morale emersa già dalle parole di Curtis Marez, il presidente della American Studies Association. Quando gli è stato chiesto il motivo per cui la sua organizzazione stesse attaccando soltanto Israele e non, per esempio, la Cina o l’Arabia Saudita o la Turchia, Marez aveva risposto: “Uno deve cominciare da qualche parte”. Il docente ha iniziato sì da qualche parte (Israele), ma si è fermato lì. Il presidente della American Studies Association aveva detto anche che il boicottaggio di Israele “è il modo migliore per proteggere ed espandere la libertà accademica e l’accesso all’istruzione”. Questo non vale per i 59.628 insegnanti turchi.
Gli amici del boicottaggio avrebbero la possibilità di dimostrare che non sono gli utili idioti del rifiuto arabo-islamico. Avrebbero l’occasione per dire no all’occupazione turca di Cipro e alla discriminazione turca contro i curdi che, a differenza dei palestinesi, non hanno autonomia, governo, parlamento, tribunali, polizia, scuole. Avrebbero l’occasione di rifiutare di consumare le delizie della cucina turca: la causa lo richiede. La loro campagna potrebbe penalizzare i poveri turchi, come ha fatto il Bdscon i palestinesi. Ma questo è un piccolo prezzo da pagare.
Oltre all’odio unidirezionale nei confronti di Israele, un’altra possibile spiegazione sulla mancata solidarietà accademica ai colleghi turchi può essere il coinvolgimento della Turchia nel boicottaggio di Gerusalemme. Sono ben 111 le università in Turchia che si sono allineate con il boicottaggio di Israele su ordine stesso di Erdogan e 87 rettori turchi hanno interrotto le relazioni con i colleghi israeliani. Un barone accademico di Londra o New York potrebbe mai andare contro il proprio protettore? Sarebbe chiedere troppo per la loro ipocrisia. Come quella sfoggiata dall’Unione europea che, stando a un rapporto rivelato dalla Stampa, in un documento secretato addossa a Israele la colpa della Terza Intifada. D’altronde, uno deve iniziare “da qualche parte”. E da dove se non dagli ebrei?