"Basta parlare di lupi solitari, l'Isis usa la rete per formare il branco jiahdista"
L’immagine del lupo solitario che con silenziosa ferocia fa strage di innocenti, uscendo dal bosco tetro del jihad, ormai vacilla pericolosamente. Gli ultimi (solo in ordine di tempo) sono i due terroristi che martedì hanno fatto irruzione in una chiesa durante la messa del mattino. Armati di coltello prendono in scacco i fedeli. Sgozzano il parroco e feriscono gravemente un ostaggio. La polizia li abbatte. Erano nati in Francia. Uno dei due aveva solo 19 anni. La rivendicazione dell’Isis non si fa attendere: “erano nostri soldati”. Del resto “colpire le chiese”, è quello che scrivevano dal Califfato il 5 marzo scorso. “Usate qualsiasi arma a vostra disposizione; coltelli, pietre, macchine”. Inquadrare i nuovi attentatori nella categoria dei lupi solitari è la soluzione più praticata. Ma il professor Massimo Introvigne, sociologo e storico delle religioni, spiega al Foglio che l’abusata categoria ormai non ha più senso di esistere.
“L’attentato in Normandia – dice Introvigne – mi ha ricordato un altro episodio: esattamente vent’anni fa, a Kingersheim, in Alsazia, venne sgozzato un parroco molto popolare, padre Uhl. Si parlò dell’assassino come di un malato di mente o di un lupo solitario. Ma poi emerse essere un ragazzo che stava giornate intere davanti al computer ed era entrato in un network alle periferie più estreme del satanismo. Mi ritrovo a dire quello che dicevo allora: con l’avvento di internet, la categoria lupo solitario deve essere rivisitata. Fu coniata dai sociologi e dai criminologi per descrivere alcuni serial killer. Ma aveva senso in un’epoca pre-internet. Con la rete, il lupo non è mai solitario: si sente parte di una comunità, fosse anche solo virtuale”.
"Forse dobbiamo rivisitare anche la categoria di “rivendicazione”. Lo Stato islamico lancia dei messaggi già sapendo di non conoscerne i destinatari. Sono loro a conoscere l’Isis. E l’Isis è un ente, uno stato virtuale. Vive pienamente nell’era di internet e i suoi teorici ne sono consapevoli”. Non più un’organizzazione formale come Al Qaeda, i cui miliziani erano conosciuti e addestrati fisicamente sulle montagne dell’Afghanistan. Ma una rete doppiamente anonima: “Non solo, come nelle vecchie organizzazioni terroristiche, le reclute non conoscono i capi ma ora neanche i leader sanno precisamente a chi si stanno rivolgendo”. Difficile ricostruire una rete che esiste solo nella mente di alcune persone e nello sconfinato mondo sommerso del web. Ancor più difficile sconfiggerla, spiega Introvigne, perché “l’Isis ha applicato un vecchio principio maoista all’islam: ogni uomo è un obiettivo della guerra rivoluzionaria”. Viene così a cadere un’altra categoria, quella di obiettivi sensibili da difendere: “Il numero degli obiettivi sensibili coincide con il numero degli obiettivi. Possono colpire dappertutto. Non c’è nessun luogo sicuro. I jihadisti del califfo hanno travolto – con giustificazioni teologiche – uno dei principi fondamentali nelle scuole giuridiche anche più fondamentaliste: non colpire i musulmani. Come abbiamo visto nella strage portata a termine con un camion a Nizza, o in quella fallita con la bomba allo Stade de France, questa distinzione non c’è più”.
Attaccare in Iraq e Siria non diventa meno importante: “Per aiutare le vittime del califfo in quelle zone, per rendere meno potente il messaggio jihadista e la possibile emulazione e per togliere risorse alla loro guerra informatica. Questa credo diventerà un teatro molto importante, nel futuro prossimo. Cercare ed eliminare i messaggi jihadisti è un lavoro certosino. Ma investire risorse e ingaggiare degli hacker, per scoprire dove passano i messaggi delle organizzazioni terroristiche, significa prosciugarne i messaggi”. In definitiva, rendere di nuovo soli quei lupi che sbranano le nostre città.