Il genocidio cristiano arriva in Europa
“I musulmani devono far guerra agli infedeli che vivono intorno a loro” (Sura 9, 123).
Quello che vogliamo far vedere ai nostri occhi, anche dopo la scena di un parroco ucciso con un taglio alla gola da un terrorista islamico in una chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, in Francia, vicino Rouen, è sempre la pellicola consolatoria che ci porta a proiettare sullo schermo delle nostre illusioni il solito rassicurante fotogramma: i terroristi sono dei pazzi irrazionali spesso molto depressi che agiscono come lupi solitari per ragioni misteriose, spinti da raptus omicidi generati il più delle volte da una follia innescata da una miscela esplosiva in cui c’entrano il disagio sociale creato dall’occidente, la diseguaglianza creata dal liberismo, la reazione a una guerra combattuta dall’occidente contro i fondamentalisti, la ribellione ai fenomeni di xenofobia e la scarsa accoglienza mostrata dall’Europa nei confronti degli immigrati logorati dalla paura di essere respinti. Se il problema del terrorismo islamico fosse la depressione, o la follia, sarebbe sufficiente schierare lungo tutte le strade d’Europa un esercito di bravi psicoanalisti. Ma se di follia si tratta, come suggerisce alla nostra personale coscienza il Recalcati collettivo un secondo dopo ogni attentato di matrice islamica, bisogna riconoscere che solo ai tempi del nazismo si era vista una follia così lucida e razionale, che con cadenza quasi quotidiana porta al sacrificio dei miscredenti, degli apostati, dei blasfemi e all’interpretazione letterale di una famosa Sura (4, 88-91) fatta propria dal califfo al Baghdadi: gli infedeli bisogna “circondarli e metterli a morte ovunque li troviate, uccideteli ogni dove li troviate, cercate i nemici dell’islam senza sosta”.
In Francia si sgozza un parroco con le stesse modalità con cui in medio oriente, da Mosul ad Aleppo, gli islamisti profanano i luoghi di culto della chiesa condannando a morte i cattolici infedeli. A Orlando si uccidono gli omosessuali in un locale notturno con le stesse modalità con cui in medio oriente, nello Stato islamico, i jihadisti uccidono a colpi di pietre i gay trasgressori. A Parigi si ammazzano gli ebrei miscredenti nei supermercati kosher con le stesse modalità con cui i fondamentalisti ammazzano gli israeliani nei centri commerciali di Tel Aviv (“Tutti gli ebrei che vi capitano tra le mani, uccideteli”, Sirah, II, 58-60). A Nizza, nel giorno della festa dell’orgoglio del paese dei Lumi, si colpiscono gli occidentali colpevoli di essere occidentali con la stessa logica con cui si colpiscono gli ebrei colpevoli di essere ebrei, i gay colpevoli di essere gay, i cristiani colpevoli di essere cristiani, gli sciiti colpevoli di essere sciiti – e con le stesse modalità con cui si colpiscono gli aerei russi, i treni tedeschi, gli alberghi egiziani, le spiagge tunisine, i ristoranti del Bangladesh, gli hotel del Mali.
Lo sgozzamento del parroco francese, martire della fede, è un gesto drammatico che risponde però a una follia che più lucida non si può: colpire i miscredenti nelle loro case, declinare in occidente le stesse forme di genocidio messe in atto in medio oriente, e dimostrare così che la guerra in corso è una guerra non solo contro l’occidente ma anche contro le religioni simbolo dell’occidente come il cristianesimo. La guerra a Roma, alla chiesa cattolica, come è noto, nasce ben prima dello Stato islamico, ed è la stessa che portò tra l’830 e l’846 gli arabi a saccheggiare Roma, ed è la stessa che portò nel 1480 i musulmani a decapitare 800 cristiani a Otranto colpevoli di aver rifiutato la conversione all’islam dopo la caduta della loro città. “L’Europa – ha scritto ieri in un articolo profetico sul Wall Street Journal il solito bravissimo Bret Stephens – deve smettere di considerare il Cristianesimo un mero fattore storico dell’identità continentale; deve smettere di affermare che non esista mai una soluzione militare contro la minaccia islamista; deve comprendere che vale la pena lottare per un paese, che non è vero che l’onore è solo un orpello atavico e che la tolleranza è il bene supremo; e deve ricordarsi che una civiltà che non crede in nulla finisce inevitabilmente per sottomettersi a qualunque cosa”.
Per questo, nota Stephens, l’Europa di oggi ricorda la Francia del 1940, esibendo “la stessa combinazione di rigidità dottrinale e perdita di volontà che consentì alla Germania nazista di sconfiggere in sei settimane un esercito alleato composto di 144 divisioni”. Ci si potrebbe a lungo dilungare sul mondo delizioso che ci consegna il Nobel per la Pace Barack Obama dopo otto anni di “stay behind” declinato alla Casa Bianca e si potrebbe ricordare come sia evidente che un occidente che rinuncia a esportare la democrazia laddove prolifera il fondamentalismo debba accettare che ci sia un fondamentalismo che riesce a esportare il suo totalitarismo in modo pressoché indisturbato.
Ma il richiamo all’Europa nazista di Bret Stephens ci proietta in una dimensione diversa, ancora più complessa, dove il protagonista diventa il simbolo massimo della religione che il fondamentalismo islamista ieri ha colpito alla gola. Papa Francesco inizia oggi il suo viaggio in Polonia e dopodomani andrà a visitare il luogo simbolo del nazismo: Auschwitz. Finora il Pontefice, pur avendo ammesso in molte circostanze di vivere in un’epoca dominata da “una terza guerra mondiale”, ha sempre scelto una grammatica minimalista per condannare gli atti di terrorismo di matrice islamista. Pochi giorni dopo l’omicidio dei vignettisti di Charlie Hebdo, colpevoli secondo i terroristi di aver offeso il loro Profeta, Francesco, con un tempismo non impeccabile, ha ricordato che “la libertà di parola ha dei limiti” e che “non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri”. Pochi giorni prima del Bataclan, durante un viaggio in Kenya, Francesco ha sostenuto che “violenza, conflitto e terrorismo si alimentano con paura e disperazione” che “nascono da povertà e frustrazione”. Il giorno dopo la strage di Nizza, poco prima che venisse svelato il piano lucido e razionale che ha portato il terrorista a fare una strage sulla Promenade des Anglais, Francesco ha condannato la “follia omicida” del presunto lupo solitario. Ieri, poche ore dopo il primo attacco terroristico islamista a una chiesa in Europa, il portavoce della Santa Sede, padre Lombardi, ha manifestato il “dolore” del Santo Padre mostrando, senza mai far riferimento all’islam, un grande sgomento per l’“orrore” di “questa violenza assurda”.
La violenza assurda, come abbiamo visto, purtroppo ha una sua lucida razionalità che non nasce dalla paura e dalla disperazione e dal disagio sociale ma dall’interpretazione radicale di un’ideologia che affonda le sue radici in una precisa e medievale interpretazione del Corano. Da questo punto di vista, la visita ad Auschwitz del Papa, nel cuore degli eccidi perpetrati dal nazismo, non poteva capitare in un momento migliore, nel quale anche la chiesa avrebbe il dovere di condannare le nuove ideologie assassine (non così diverse da quelle naziste) perpetrate dai fondamentalisti islamici. In una celebre visita ad Auschwitz, nel maggio del 2006 Benedetto XVI pronunciò un discorso che meriterebbe di essere ripreso. “Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? Ci vengono in mente le parole del Salmo 44, il lamento dell’Israele sofferente: ‘…Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose… Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svegliati, perché dormi, Signore? Destati, non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia!’ (Sal 44,20.23-27). Questo grido d’angoscia che l’Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d’aiuto di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi… E’ in questo atteggiamento di silenzio – concluse B-XVI – che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa”.
I martiri di Otranto, colpevoli di aver rifiutato la conversione all’islam dopo la caduta della loro città nel 1480, furono dichiarati beati il 14 dicembre del 1771 da Papa Clemente XIV e vennero canonizzati il 12 maggio del 2013 da Papa Francesco. Il Pontefice dunque sa bene cosa sono le guerre di religione. Oggi ce n’è una in corso. E chiamare “martire” il parroco ucciso ieri con un taglio alla gola da un terrorista islamico in una chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray sarebbe un primo passo non sufficiente ma necessario per dimostrare che anche il Vaticano ha capito quello che ieri è stato ben sintetizzato dall’arcivescovo di Marsiglia: “Non è solo la chiesa cattolica ad essere colpita da questi attentati, sono tutte le chiese dell’occidente”. Non si chiama follia. Si chiama ideologia. L’ideologia di chi crede che non ci sia nulla di male a sostenere che i fondamentalisti islamici devono fare guerra a tutti gli infedeli che vivono intorno a loro. A partire dai cristiani.
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