Un soldato siriano a Daraya, città a sud ovest della capitale Damasco (foto LaPresse)

Cosa c'è dietro al volto scoperto di al Nusra che si stacca da al Qaida

Giulia Pompili
La scelta di al Joulani fa parte di una strategia di riorganizzazione delle forze interne alla Siria che combattono Bashar al Assad, e c’entra poco con la comunità internazionale.


Roma. Il capo del gruppo Jabhat al Nusra, Abu Mohammed al Joulani, ha annunciato alcuni sostanziali cambiamenti nell’organizzazione terroristica attiva in Siria: al Nusra non sarà più la costola di al Qaida nell’area, e non si chiamerà nemmeno più al Nusra. Il nuovo nome sarà Jabhat Fath al Sham (“Fronte per la Conquista del Levante”), e non ci saranno più operazioni sotto il vecchio nome, ha detto al Joulani, battezzando di fatto un nuovo gruppo. Nel video diffuso due giorni fa – che è stato trasmesso per prima da al Jazeera, non a caso il canale che un anno fa ha mandato in prima serata due ore di intervista con il leader di al Nusra – al Joulani si è mostrato per la prima volta a volto scoperto. Il messaggio è iniziato con un lungo ringraziamento all’al Qaida di Ayman al Zawahiri, e infatti “un attento esame del discorso di Joulani rivela quanto la sua formulazione fosse sfumata”, ha scritto Thomas Joscelyn sul Long War Journal, “e il fatto che non abbia rinunciato o veramente rotto con al Qaeda”. Al Joulani, seduto in mezzo ad altri due leader anziani di al Nusra, ha detto che eliminare ogni collegamento con al Qaida servirà a non dare più “un pretesto” alla comunità internazionale (agli Stati Uniti e alla Russia) per bombardare indiscriminatamente i gruppi ribelli siriani. “Ma non c’è alcuna ragione per credergli”, scrive Joscelyn. Ieri, subito dopo la diffusione del video, un certo grado di scetticismo sulle reali intenzioni di al Nusra circolava anche nei corridoi della Casa Bianca. Il portavoce dell’Amministrazione Obama, Josh Earnest, ha detto che gli Stati Uniti continueranno a considerare al Nusra un gruppo terroristico.
 



 

La scelta di al Joulani fa parte di una strategia di riorganizzazione delle forze interne alla Siria che combattono Bashar al Assad, e c’entra poco con la comunità internazionale – anche se, di sicuro, avrà degli effetti sui colloqui e sugli accordi di questi giorni tra il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il segretario di stato americano John Kerry. Già il 4 marzo del 2015 la corrispondente di Reuters Mariam Karouny aveva scritto di un possibile divorzio cosmetico tra al Nusra e al Qaida. Secondo Karouny una nuova formazione, concentrata esclusivamente sulla guerra di liberazione siriana, semplificherà la sponsorizzazione dell’opposizione armata siriana da parte di paesi come il Qatar, la Turchia e l’Arabia Saudita. Ma quella di ieri di Joulani è soprattutto un’operazione trasparenza. Da tempo i gruppi armati in Siria manifestavano insofferenza nei confronti di al Nusra, troppo legata ad al Qaida, e il nuovo Jabhat Fath al Sham potrebbe guadagnarsi il sostegno (armi e soldi) e l’alleanza dei locali. Non è un caso se al Zawahiri in un audio abbia già dato il suo appoggio alla decisione di al Joulani di rottamare al Nusra. Il gioco di alleanze e di rinnovamento dei gruppi armati è fondamentale per capire le operazioni sul tavolo. La storia di al Nusra in Siria è legata a quella dello Stato islamico, gruppo che oggi combatte. Jolani – che aveva combattuto con Abu Mussab al Zarqawi ed era l’emissario di al Baghdadi in Siria – già da tre anni ha ripudiato pubblicamente il progetto di al Baghdadi.

 

Scrive Charles Lister, senior fellow al Middle East Institute, in un lunghissimo paper su Jabhat al Nusra pubblicato da Brookings, che “alla fine del 2012, il coinvolgimento di Jabhat al Nusra nel conflitto siriano divenne chiaro” – e lo dimostra, secondo Lister, anche l’iscrizione del gruppo nella lista delle organizzazioni terroristiche da parte del dipartimento di stato americano. All’epoca “il gruppo faceva ancora parte dello Stato islamico, e di sicuro continuava a ricevere il 50 per cento dei suoi fondi dall’Iraq. Tuttavia il leader dello Stato islamico al Baghadi, nel novembre del 2012, ha iniziato a temere che il suo uomo in Siria potesse guadagnare potere e non essere più sotto il suo comando”. Il primo segno di questo timore, scrive Lister, viene da una lettera segreta che Baghdadi inviò a Jolani alla fine del 2012, in cui chiedeva ad al Nusra di annunciare pubblicamente la sua affiliazione allo Stato islamico. La proposta fu oggetto di discussione del Consiglio della Shura, ma fu rifiutata “per paura che un’affiliazione pubblica avrebbe pregiudicato i progressi fatti con i gruppi di rivoluzionari siriani”. Il gran rifiuto spinse Baghadi a viaggiare nel nord della Siria nel febbraio del 2013, dove ebbe riunioni con i capi di al Nusra, e portò a un audio, pubblicato nell’aprile del 2013, in cui il leader dello Stato islamico annunciava lui stesso l’alleanza con al Nusra. “Trentasei ore dopo, Joulani rifiutò pubblicamente di riconoscere l’autorità di Baghdadi e rinnovò la bay’a (l’alleanza) con l’al Qaida di al Zawahiri”. E’ lì che ha inizio il conflitto tra Stato islamico e al Qaida, culminato, nei primi mesi del 2014, con al Zawahiri che formalmente “ripudia” lo Stato islamico comandato da Abu Bakr al Baghdadi.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.