Il leader Nord coreano Kim Jong-un (foto LaPresse)

La solitudine di Kim Jong-un. Alla Corea non resta che il terrorismo

Giulia Pompili
Di fatto al messaggio (la Corea del nord è forte, e tutti la temono) difficilmente seguono le azioni aggressive, eppure alcuni incidenti, i test atomici e missilistici, spaventano i governi dei paesi limitrofi. E Pyongyang ha imparato dal terrorismo internazionale come alzare l’asticella della tensione per essere riconosciuta come una potenza.  

Roma. Han Song Ryol, direttore del Dipartimento di Affari americani del ministero degli Esteri nordcoreano, ha detto ieri all’Associated Press che Washington ha “superato la linea rossa”, e di considerare le esercitazioni militari annuali tra America e Corea del sud, che dovrebbero iniziare il mese prossimo, come “una dichiarazione di guerra”. Quando si parla di linee rosse, di questi tempi, ne vengono in mente sempre e solo due. La prima è quella tracciata dal presidente americano Barack Obama nell’agosto del 2012, quando disse che se il presidente siriano Bashar al Assad avesse usato armi chimiche contro la popolazione, Washington sarebbe intervenuta militarmente (e sappiamo poi com’è andata a finire, 1.400 morti per gas sarin nel 2013). L’altra celebre linea rossa è del settembre del 2012. Parlando all’Assemblea generale delle Nazioni unite, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu disegnò una linea rossa sul disegno di una bomba-fumetto: l’Iran sta per accedere alla fase finale della produzione di uranio, entro un anno avrà una bomba nucleare. “Di fronte a una chiara linea rossa Teheran si fermerà”, disse Netanyahu. Il deal con gli Stati Uniti non si fermò.

 

Tutta l’attenzione del mondo in questo periodo è rivolta al terrorismo islamico. In Asia le prime pagine sono a volte intervallate dalle notizie che riguardano la volontà di potenza cinese – e la sua partita più importante, quella del Mar cinese meridionale (di ieri la notizia delle esercitazioni militari che effettueranno a settembre Pechino e Mosca proprio in quell’area del Pacifico). Nel frattempo, sul trentottesimo parallelo, la situazione è sempre più tesa, e il leader nordcoreano Kim Jong-un sempre più isolato. Dopo l’ultimo test nucleare di gennaio, le minacce nei confronti dell’America, del Giappone e della Corea del sud rischiano di non raggiungere l’obiettivo delle prime pagine internazionali – secondo una consolidata strategia che permette a Pyongyang di usare come propaganda interna la minaccia nordcoreana avvertita all’estero.  Di fatto al messaggio (la Corea del nord è forte, e tutti la temono) difficilmente seguono le azioni aggressive, eppure alcuni incidenti (l’affondamento della nave Cheonan nel 2010, le schermaglie sul confine), i test atomici e missilistici (sempre più frequenti e sofisticati), spaventano i governi dei paesi limitrofi. E Pyongyang ha imparato dal terrorismo internazionale come alzare l’asticella della tensione per essere riconosciuta come una potenza.   

 

All’inizio di luglio Washington ha imposto, per la prima volta nella storia, delle sanzioni economiche direttamente sul leader Kim Jong-un, per violazione dei diritti umani. Due settimane dopo, la Corea del sud e gli Stati Uniti hanno annunciato il posizionamento del sistema antimissile Thaad prima della fine del 2017. Il sofisticato sistema sarà installato nella contea di Seongju, a 210 chilometri a sudest di Seul, e servirà a proteggere la Corea del sud dai missili nordcoreani, entrando in funzione nonostante le proteste di Pechino e dei residenti dell’area di Seongju. Le parole di ieri di Han Song Ryol sulla linea rossa vanno quindi lette in quest’ottica. Dopo il test missilistico del 20 luglio scorso (due Scud a corto raggio e un Rodong a medio raggio che hanno viaggiato per oltre 560 chilometri per poi cadere in mare, costa est della penisola) l’agenzia di stampa nordcoreana Kcna ha scritto che il test serviva come esercitazione per colpire “con missili nucleari un aeroporto sudcoreano”. Il linguaggio e l’immaginario dei terroristi, così come i video sui canali ufficiali che mostrano la Casa Bianca colpita da missili nordcoreani.

 

Nel frattempo, Seul cerca di dare sempre più pubblicità alle defezioni, un’arma efficace: più nordcoreani scappano, trovando “la pace” in Corea del sud, più crollano le granitiche certezze di tenuta di Kim Jong-un. Martedì scorso un ufficiale del governo sudcoreano ha detto all’agenzia Yonhap che “potrebbero esserci attacchi terroristici contro cittadini sudcoreani che viaggiano in Cina e nel sud est asiatico”. Una fonte anonima avrebbe spiegato a Yonhap che “Kim Jong-un ha ordinato personalmente delle rappresaglie” contro Seul, e avrebbe detto ai suoi agenti all’estero di tenersi pronti all’attacco.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.