Rajoy fa il semiaudace mentre raccoglie i frutti del non-governo
Roma. “Non conviene in nessuna fase della vita anticipare troppo quello che succederà”. Mariano Rajoy, premier spagnolo facente funzioni e leader del Partito popolare, ha seguito questa massima per tutta la sua vita politica. Mai un passo più lungo della gamba, mai un rischio troppo azzardato, mai una decisione presa d’impeto. Il leader spagnolo è un politico noioso e prevedibile, e questa è stata la sua forza nei momenti di turbolenza e imprevedibilità trascorsi dal suo governo. Rajoy ha ripetuto la sua massima giovedì sera alla conferenza stampa con i giornalisti dopo la consultazione con il capo dello stato, re Felipe VI, per poi contestualmente smentirla. Contro la maggior parte delle previsioni, Rajoy ha accettato il mandato del re per formare un governo dopo le elezioni dello scorso giugno, pur senza avere una maggioranza né garanzie dagli altri partiti politici che la sua proposta potrà passare il voto di fiducia delle Cortes. E’ un passo nel vuoto inedito per Rajoy, ma a metà. Esattamente come dopo le elezioni di dicembre il leader conservatore si era mostrato un innovatore della prassi costituzionale rifiutando per la prima volta nella storia l’incarico affidato dal re, così questa volta, dopo la ripetizione delle consultazioni Rajoy ha accettato ma non ha garantito che andrà, comunque vada, al voto di fiducia. Insomma, una investitura condizionata che è un nuovo unicum per la Spagna.
Ieri Rajoy ha parlato al telefono con i tre leader dei principali partiti, Pedro Sánchez del Partito socialista, Albert Rivera di Ciudadanos e Pablo Iglesias di Podemos, e il Partito popolare ha fatto sapere che inizierà i negoziati con le “forze costituzionali”, Psoe e Ciudadanos, a partire da martedì. Entrambi i leader hanno detto che negheranno a Rajoy un voto di fiducia a favore, ma a Rajoy potrebbe bastare una loro astensione a partire dalla seconda votazione per formare un governo di minoranza con i soli 137 deputati a sua disposizione (la maggioranza è 176). Ciudadanos è già della partita. Il vicesegretario José Manuel Villegas ha detto ieri che il partito ha già deciso di astenersi, e cercherà di convincere i socialisti a fare altrettanto in nome della governabilità – compito difficile, perché i socialisti, nonostante gli appelli che provengono da ogni dove, ancora non riescono a digerire l’idea di consentire a Rajoy di governare. Ma la responsabilità del fallimento delle trattative cade tutta su di loro, e Rajoy lo sa.
C’è anche una questione di urgenza. Come ha calcolato il giornale Abc, Rajoy dovrebbe presentare un governo entro il 24 di agosto per riuscire ad approvare in tempo il budget dello stato e presentare entro ottobre un nuovo Piano di stabilità richiesto dall’Europa. Lo scorso inverno, Pedro Sánchez impiegò venti giorni per mettere insieme il suo progetto di governo poi fallito, e nel 1996 José María Aznar ebbe bisogno di due mesi per convincere i suoi alleati a votare la fiducia. Anche l’indipendentismo catalano preme, con il Parlamento di Barcellona che ha appena approvato il primo passo verso un referendum sull’indipendenza unilaterale. E’ la grave (ed ennesima) crisi catalana che minaccia l’unità della Spagna, e il governo facente funzioni, che in teoria dovrebbe occuparsi esclusivamente della gestione dell’ordinario, ha reagito con forza, chiedendo al Tribunale costituzionale di incriminare penalmente Carme Forcadell, presidente del Parlamento catalano, per aver disobbedito alle sentenze anti indipendenza del tribunale stesso.
Non è l’unico campo in cui il governo sta valicando per cause di forza maggiore il suo mandato costituzionale. Dopo sette mesi senza governo, Rajoy non può permettersi di fare il segnaposto, e in attesa che gli altri partiti si decidano, con il suo stile algido e tecnocratico ha ripreso a governare quasi come se nulla fosse, senza l’approvazione del Parlamento e ovviamente senza la possibilità di far passare nuove leggi. E’ un buon argomento a favore del premier, che in mezzo alla crisi politica continua ad applicare le sue ricette. Il governo ieri ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita per il 2016 (2,9 per cento contro previsioni precedenti del 2,7; nel 2017 invece il paese crescerà del 2,3 per cento), e questa settimana il tasso di disoccupazione è sceso al 20 per cento per la prima volta dal 2010, con 271.400 nuovi posti di lavoro aggiunti nell’ultimo trimestre.
I conservatori inglesi