C'è un punto di rottura con Erdogan?
Roma. Il premier Matteo Renzi ha risposto alle accuse rivolte all’Italia dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Erdogan ha minacciato il deterioramento dei rapporti a causa dell’inchiesta per riciclaggio che coinvolge suo figlio a Bologna, e il premier ha risposto dicendo che i magistrati non rispondono al presidente turco. E’ l’ennesima provocazione del sultano, che continua a minacciare un occidente ancora incapace di gestire un alleato imprescindibile e impresentabile.
“L’occidente è dalla parte della democrazia o dalla parte del golpe?”. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, sa che la sua domanda, posta ancora una volta ai microfoni di Rai News 24 in un’intervista uscita martedì, non può più avere una risposta univoca, e per questo provoca, stuzzica, tende la corda di rapporti già fin troppo stiracchiati. Si risponde da solo: quando sento certe dichiarazioni (quelle con cui il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, ha condannato le purghe che hanno fatto seguito al golpe) “penso che l’occidente sia a favore del golpe”. In Turchia, la costernazione dell’occidente nei confronti dell’alleato turco è ampiamente ricambiata. Da qualche settimana tutti i giornali, anche quelli moderati o riconosciuti di opposizione, come Hurriyet, sembrano ristampare sempre lo stesso editoriale. Le migliori penne e le più note firme del paese, filo e antigovernative, criticano l’occidente e in particolare l’Europa per lo scetticismo con cui hanno accolto le notizie del fallito golpe del 15 luglio in Turchia. Non possiamo credere, dicono all’occidente, che voi accusiate il governo di Ankara di aver organizzato a tavolino una minaccia così formidabile per la stabilità del paese. Indipendentemente da quello che pensate del governo e di Erdogan, delle sue purghe e della continua repressione delle libertà personali e politiche in Turchia, il golpe c’è stato, la minaccia era grave, e meritiamo solidarietà. Ma appunto, l’occidente non può dare alla Turchia la solidarietà che merita, perché Ankara e il suo leader sono diventati alleati al tempo stesso imprescindibili e impresentabili.
Erdogan lo sa, forse ha perfino perso ogni desiderio di rientrare nelle grazie dell’occidente, e non perde occasione per mettere il dito nella piaga. Attacca la mancata solidarietà europea, e dice che quando a Parigi c’è un attentato e “muoiono cinque-sei persone tutti si riversano lì”. “In Turchia è in corso un golpe contro la democrazia, un golpe che ha fatto 238 martiri, e finora purtroppo non è venuto nessuno in visita, né dell’Unione europea, né del Consiglio d’Europa”. Attacca la procura di Bologna che accusa suo figlio di riciclaggio di denaro, dicendo che sarebbe meglio se pensasse alla mafia e sottolinea che questo affare potrebbe mettere in crisi i rapporti tra Turchia e Italia. Minaccia l’Europa sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, annunciando che se Bruxelles non avrà obbedito entro ottobre riaprirà il rubinetto dei migranti sulla rotta balcanica. Condanna l’America come amica dei golpisti per non aver ancora riconsegnato per direttissima l’imam Fethullah Gülen accusato di aver ordito il colpo di stato con la sua organizzazione. Rinnega lo stato di diritto con purghe che riguardano sia i sospettati golpisti sia giornalisti, insegnanti, presidi, magistrati, oppositori.
Stretto fra indignazione e necessità, le risposte dell’occidente alle provocazioni del sultano sono sempre state accomodanti. L’alleanza con Ankara ci mette in difficoltà, vorremmo dirgliene quattro a Erdogan ma lo conosciamo irascibile e pronto a mandare tutto all’aria, alleanze e ragionevolezza, quando si sente attaccato. E qualunque cosa succeda ancora non possiamo permetterci che la Turchia sfasci le alleanze: è troppo indispensabile su troppi fronti, da quello della crisi migratoria, su cui Erdogan sta dettando la linea al continente intero, all’assetto strategico della Nato, fino al fatto che, seppure sempre più tirannico, il governo turco è uno dei pochi ancora stabili nella regione.
Germania, a Colonia scendono in piazza i sostenitori di Erdogan (foto LaPresse)
Erdogan imbarazza e mette alla corda l’occidente, ma il punto è capire fino a che punto l’occidente si lascerà taglieggiare e lascerà che il sultano giochi con i suoi imbarazzi. Il premier Renzi ha risposto duramente alle accuse rivolte da Erdogan alla procura di Bologna, scrivendo sui social che “i giudici rispondono alle leggi e alla Costituzione italiana, non al presidente turco. Si chiama ‘stato di diritto’”. Anche la cancelliera Angela Merkel ha reagito con durezza per lei inusuale alle purghe post golpe, e nel fine settimana ha vietato un messaggio del presidente turco a un’oceanica manifestazione di immigrati a Colonia, mentre il suo vice Sigmar Gabriel accusava Ankara di ricatto sui migranti.
Insomma, l’occidente imbarazzato dal suo alleato impresentabile sta cercando di capire qual è il suo punto di rottura. Erdogan, provocando, continua a chiederci da che parte stiamo, ma la domanda dovrebbe essere ribaltata: il presidente turco è ancora dalla parte dell’occidente? Se nessuno lo chiede è perché abbiamo troppa paura di sentire la risposta.