“Musulmani francesi contro il terrore. Tranne quando tocca agli ebrei”
Roma. Dopo la manifestazione ecumenica nelle chiese, leader e intellettuali musulmani di Francia hanno pubblicato un appello sul Journal du Dimanche sotto il titolo: “Noi, musulmani francesi, siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità”. I firmatari islamici elencano cinque attacchi terroristici: Charlie Hebdo, il 13 novembre, l’omicidio di due agenti di polizia a giugno, Nizza e l’attacco alla chiesa in Normandia. Non si fa riferimento né all’assassinio di quattro ebrei al supermercato kosher di Parigi né all’esecuzione di tre bambini e un rabbino a Tolosa. “Se siete pronti ad assumervi le vostre responsabilità, avete iniziato male”, denuncia Robert Ejnes, il direttore esecutivo dell’Unione delle comunità ebraiche francesi. Una omissione che non sorprende Daniel Sibony, scrittore, psicoanalista e filosofo, autore del libro appena uscito “Islam, phobie, culpabilité”, edizioni Odile Jacob. “E’ una dimenticanza molto significativa, un vero lapsus che riconosce l’odio antiebraico conficcato nel cuore dell’identità islamica, nel suo testo fondatore, il Corano”, dice Sibony al Foglio. “Tutti coloro che sono cresciuti in questa cultura hanno memorizzato versetti del Corano pieni di vendetta nei confronti degli ebrei”.
Daniel Sibony
Continua Daniel Sibony nell’intervista al Foglio: “Il Corano maledice gli ebrei perché il Dio che l’ha dettato non ha potuto fare altro che copiare la Bibbia ebraica accusando gli scribi che l’hanno scritta di averla falsata, di non aver annunciato per nome l’arrivo di Maometto. E’ questo schema che condiziona il rifiuto istintivo degli ebrei presso gli autori di questo appello e presso la maggior parte dei musulmani. Non è che vivano questa vendetta in ogni istante, possono anche dimenticarla quando si accompagnano con degli ebrei, ma questa non li lascia mai nei momenti decisivi nei quali loro ‘prendono posizione’; questa si esprime attraverso di loro, anche senza che se ne accorgano, anche tramite dei silenzi”. Altro fatto eloquente: “Esperti musulmani sottolineano che nell’attentato di Nizza c’è stata una novità terribile: per la prima volta si sono uccisi dei bambini. Dimenticano l’attentato di Tolosa contro una scuola ebraica, dove tutti hanno visto in televisione questo bravo islamista trascinare per i capelli una bambinetta prima di piantarle un proiettile in testa. Ma non era una bambina, era un’ebrea”.
Secondo Sibony, “nella maggior parte dei casi, i musulmani non sono coscienti degli appelli violenti nel loro testo contro gli altri; loro vogliono vivere in pace; è proprio questo che obbliga i più zelanti a sacrificarsi per mettere in pratica questi appelli. Molti fedeli pensano che questi appelli siano obsoleti e tipici di un’epoca passata; e molti occidentali sono pronti a crederlo, per buon senso e per simpatia. Ma la realtà è differente, questi appelli non sono affatto rari e loro condannano gli altri per l’eternità, dal momento che è la parola di Allah. Poco importa se questo prevalere ha poche probabilità di lasciare il segno, e se il progetto finale di islamizzare il mondo sembra aberrante; ciò che importa è che questo sia affermato ogni giorno, ed è ciò che avviene”. Sibony ritiene che sia sull’“impotenza occidentale” che scommette la strategia islamista: “E include il jihad e il suo sottile mescolamento con propositi pacifici (la radice della parola islam è ‘pace’). E sulla impossibilità di un criterio universale per distinguere l’amico dal nemico. Del resto è la stessa idea di un tale criterio a essere sovvertita dal testo fondatore, nel quale gli appelli alla pace sono mescolati agli appelli aggressivi. Questi giovani che vengono spesso presentati come degli esclusi, degli psicotici, il che testimonia un curioso logocentrismo, hanno spesso dato segni di vita normale e integrata nella società dei consumi, ed è a titolo di un supplemento spirituale, per dare un senso più elevato alla loro vita, che loro la mettono al servizio di una causa perfettamente esplicitata nel testo sacro. Si potrà obiettare loro la proibizione di uccidere, ma nel Corano vi è la proibizione di uccidere tranne che per una causa giusta. I loro atti appaiono non già come un atto disperato e nichilista, ma come un soprassalto spirituale per una causa onorevole e contro una vita bassamente materiale”. La questione non sta nel riformare l’islam, “ma sapere se i musulmani d’Europa denunciano la chiamata alla guerra santa invece di negarne l’esistenza”. Senza quest’ammissione, il dialogo salta in aria assieme al kamikaze.