Il mercato contro i boicottatori
Roma. Le vie del finanziamento all’odio anti israeliano sono infinite, o quasi. Questa settimana perfino l’Undp, cioè il programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, si è mostrato pubblicamente in imbarazzo di fronte all’ultima scoperta della giustizia israeliana: l’ingegnere Waheed Borsh, dipendente Onu, ha infatti ammesso di aver dirottato aiuti umanitari dell’agenzia per costruire un piccolo porticciolo utilizzato dai terroristi di Hamas, e di aver privilegiato la ricostruzione delle case di alcuni leader dello stesso movimento islamista. “Siamo molto preoccupati”, hanno detto dall’Undp rispondendo al governo israeliano che ora sollecita un’inchiesta interna. La settimana scorsa lo stato ebraico ha indagato anche la filiale palestinese di World Vision, organizzazione non governativa evangelica nota in tutto il mondo, il cui direttore per le operazioni a Gaza, Mohammed el Halabi, avrebbe ammesso di aver girato milioni di dollari di aiuti umanitari sempre a Hamas. Subito il governo australiano e quello tedesco, sponsor istituzionali di World Aid al fianco tra gli altri della Commissione europea, hanno sospeso i nuovi finanziamenti destinati all’ong.
Le autorità israeliane, d’altronde, sono oramai abituate a monitorare quanto più attentamente possibile l’uso dei fondi pubblici stranieri che arrivano nella Striscia di Gaza. E’ più recente, invece, il tentativo di fornire una risposta efficace al rafforzarsi in tutto il mondo del movimento Bds, cioè per la promozione di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro lo stato ebraico. Domenica scorsa, per esempio, il governo di Benjamin Netanyahu ha fatto sapere che insedierà una commissione speciale con l’incarico di espellere “gli attivisti impegnati nel boicottaggio di Israele o nella sua delegittimazione”. Misure radicali, la cui portata effettiva si potrà valutare solo con il passare del tempo.
Intanto però si registrano le prime risposte “di mercato” al Bds. Più propriamente Benjamin Weinthal, fellow della Foundation for Defense of Democracies, in un saggio apparso sull’International Jerusalem Post, parla di “economic warfare” contro il boicottaggio, specie quando quest’ultimo non si limita più al solo mondo accademico. Il metodo è quello sintetizzato a luglio dal governatore democratico dello stato di New York: “E’ molto semplice: se tu boicotti Israele, New York boicotterà te”. Così per esempio il senatore dello stato dell’Illinois, Mark Kirk, ha chiesto e ottenuto che la banca tedesca Commerzbank avviasse un’indagine interna su un conto corrente destinato a foraggiare il Bds, portando alla chiusura dello stesso conto.
Benjamin Weinthal
Altro caso: quando la società G4S (sistemi di sicurezza) ha deciso di abbandonare Israele su pressione del Bds, lo stato dell’Illinois ha minacciato di ritirare tutte le commesse pubbliche assegnate all’azienda, spingendola così a un parziale ripensamento. Weinthal, sulla versione internazionale del Jerusalem Post, sostiene che di iniziative simili se ne registra un numero crescente, seppure non ancora pari agli atti di boicottaggio. In Europa, secondo il ricercatore, sarà più complesso attivarsi in questo senso, anche se non impossibile. Difficile infatti contrastare i migliaia di micro finanziamenti come quelli che arrivano da municipi e comuni alla volta di manifestazioni pro Bds. Oppure frenare per esempio i soldi giunti direttamente dall’Iran alla Moschea Blu e al Centro islamico di Amburgo, in Germania, luoghi di culto già promotori di sit-in per la cancellazione di Israele; il giornale Hamburger Morgenpost ha dimostrato che le risorse passano attraverso la locale Hamburg Sparkasse: “Adesso chiudere i rubinetti – conclude Weinthal – è solo una questione di volontà politica”. In America questa volontà s’intravvede, ma in Europa?