Quello che non torna della posizione sull'aborto del "cattolico tradizionale" Tim Kaine, il numero 2 di Clinton
Con Tim Kaine, il senatore della Virginia nominato lo scorso 22 luglio da Hillary Clinton suo candidato alla vice-presidenza, fa il suo ingresso sul palcoscenico più alto della politica americana un uomo che, per la sua posizione sull’aborto, è la personificazione del destino dei cattolici nel Partito Democratico. Cresciuto in una famiglia devota e formatosi, prima di approdare ad Harvard, in un liceo dei gesuiti, Kaine si è definito un “cattolico tradizionale”, ha affermato di credere che il non-nato è una “persona” (concetto giuridico e costituzionale che è il cardine della battaglia dei prolife in America) e di essere “personalmente” contrario all’aborto. Tuttavia, questo è solo il residuo dei convincimenti, ormai solo privati, che il cattolico Kaine eredita dall’ala anti-abortista del suo partito, un tempo consistente ma nel corso degli ultimi vent’anni quasi del tutto estintasi: in Senato Kaine ha sempre votato, sulla questione, in modo favorevole al diritto di abortire, come la sua compagna candidata alla presidenza.
Non diversamente da molti altri cattolici che hanno deciso di far politica tra i democratici, Kaine pratica una perfetta separazione tra il foro interiore e quello pubblico, tra la legge di Dio e la legge dello stato. Ciò non gli permette di dirsi cattolico senza problemi di contraddizione, tanto più in un paese in cui l’episcopato è stato sempre, anche in tempi recenti, molto chiaro sulla posizione che la Chiesa si aspetta, sull’aborto, dai candidati che si professano cattolici. La posizione di Kaine è in realtà deludente anche per il campo avverso di questa infinita culture war americana. Le associazioni per i diritti riproduttivi trovano insoddisfacente la posizione conservatrice del senatore sull’Hyde Amendment, il quale – approvato nel 1976 da una maggioranza bipartisan – vieta l’erogazione di fondi federali (cioè dei soldi del contribuente) per l’interruzione volontaria di gravidanza. L’Hyde è considerato un pilastro della politica sanitaria del paese e del fragile compromesso tra i due fronti, ed è secondo molti commentatori inamovibile, data la prevalenza delle forze moderate nel Congresso. Tuttavia, per la prima volta nella storia del partito Clinton ha deciso di fare della sua abrogazione una parte del programma, accontentando le richieste dell’ala più progressista. Il potenziale per una divergenza significativa tra Clinton e Kaine sulla questione c’è, e in questo caso il vicepresidente avrebbe dalla sua parte la maggioranza degli americani, che, indipendentemente dalla loro posizione sull’aborto, sono a favore dell’emendamento.
Tim Kaine con Hillary Clinton durante la serata finale della convention democratica (foto LaPresse)
A un livello più profondo, Planned Parenthood e le associazioni pro-choice intravedono in Kaine il respingente passato della loro stessa beniamina Clinton. Per quanto il candidato alla vice-presidenza abbia assecondato lo slittamento a sinistra del proprio partito su questi temi, egli rappresenta la posizione moderata della stessa Clinton e dell’amministrazione di suo marito Bill negli anni Novanta, quando si diceva che l’aborto sarebbe dovuto essere “safe, legal, and rare”: sicuro, legale e soprattutto raro. Facevano parte di questa combinazione politiche di prevenzione, alternative e restrizioni che oggi al fronte più avanzato della battaglia per i diritti riproduttivi sembrano ancora troppo illiberali. L’obiettivo attuale è indicato dal motto “abortion on demand and without apology” con cui si esigono non solo le più ampie condizioni di accesso alla prestazione, ma anche la cancellazione di ogni residuo stigma nel discorso e nella mentalità pubbliche, così che la donna che vuole abortire non abbia più bisogno di alcuna giustificazione. In questa campagna elettorale Clinton ha fatto propri questi orientamenti, ma la scelta di Kaine costituisce, anche da questo punto di vista, un segnale all’elettorato di centro.