Il dopo Sirte in Libia sarà una guerra totale per il petrolio?
Roma. Arriva un segnale esplicito della guerra che può scoppiare fra l’est (Bengasi) e l’ovest (Tripoli) della Libia per controllare il petrolio, risorsa principale del paese. Il capo di stato maggiore del generale Khalifa Haftar, Abdulrazak al Nazhuri, dice da una base militare vicino Bengasi in un’intervista a Reuters che le forze fedeli al governo dell’est presto “metteranno in sicurezza” i principali terminal e pozzi di petrolio e ha minacciato – di nuovo – l’uso della forza contro le petroliere che provassero ad attraccare ai porti del greggio senza il permesso di Bengasi. Nazhuri si riferisce alle preziose installazioni petrolifere nel golfo di Sidra, che sono al centro geografico della costa libica e sono anche al centro di una contesa con l’altro governo del paese, quello di Tripoli sponsorizzato dalle Nazioni Unite – e dall’Italia – che proprio in questi giorni sta parlando di un piano per riprendere la produzione.
Così, mentre le forze di Misurata aiutate dai bombardamenti di precisione americani (57 dal primo agosto) sono impegnate in nome del governo di Tripoli a conquistare gli ultimi distretti di Sirte ancora sotto il controllo dello Stato islamico, l’est della Libia fornisce un chiaro casus belli per la guerra prossima ventura che potrebbe scoppiare tra la Tripolitania e la Cirenaica (e se succedesse, l’attuale campagna contro lo Stato islamico sembrerebbe un fatto minore). Non si tratta di un orizzonte di eventi nuovo, ma mai come ora la lettura delle mosse di Haftar è così trasparente. A giugno il generale ha mandato una colonna dei suoi soldati a sud di Sirte, ma non si trattava di un contingente che andava a unirsi alla battaglia per sradicare il gruppo estremista dalla città, come dichiarato: era invece una manovra per attestarsi vicino Zella, che dal punto di vista geografico è il punto d’accesso ai pozzi di greggio dell’area. Claudia Gazzini, ricercatrice dell’International Crisis Group che a luglio era a Bengasi, dice che le dichiarazioni sul petrolio libico non arrivano a sorpresa e sono la semplice continuazione del piano egemonico intrapreso dall’apparato politico militare che governa l’est della Libia; prima riprendere il controllo di Bengasi – che fino a prima dell’estate era una città divisa tra truppe del governo e un assortimento di gruppi islamisti che includeva anche lo Stato islamico, e che invece oggi è quasi del tutto sotto controllo – e poi allungarsi verso il greggio.
Nazhuri dice a Reuters che le sue forze militari intendono occupare i porti petroliferi di Zueitina, di Es Sider e di Ras Lanuf, il che equivarrebbe ad avere il controllo quasi totale dell’export libico di greggio e farebbe scattare la reazione militare di Tripoli. Gazzini dice al Foglio che per ora le forze di Haftar non si stanno comportando come se volessero procedere a un’occupazione militare e invece puntano a erodere il potere di Ibrahim al Jadhran, che è un potente locale che sorveglia il greggio grazie a un esercito di migliaia di persone chiamato Guardie delle installazioni petrolifere. “Quelli di Haftar vogliono convincere i clan locali a fare venire meno il sostegno a Jadhran e portargli via gli uomini”. Jadhran era alleato con Haftar, ma ora ascolta di più Tripoli. La scorsa settimana i soldati di Haftar sono entrati a Zueitina, ma per adesso non hanno toccato il porto.
A Tripoli queste notizie si accumulano con i guai locali: una milizia fedele al governo ha occupato la sede dell’intelligence e non la restituirà se il capo dei servizi, Mustafah Nuah, non sarà rimpiazzato. Nuah è la stessa fonte che nei giorni scorsi ha passato a Lorenzo Cremonesi, del Corriere, la notizia a proposito della possibile presenza di cellule dello Stato islamico nel milanese, informazione arrivata grazie a carte trovate a Sirte.