File di civili a piedi seguono il convoglio dell'Is come scudi umani (foto tratta da Twitter)

Cosa succede nell'ultima città siriana liberata dallo Stato islamico

Daniele Raineri
Fonti del Foglio ci raccontano l’atmosfera cauta tra curdi e arabi. I jet del Pentagono bloccano i bombardamenti siriani sui curdi

Roma. Fonti del Foglio a Manbij raccontano cosa succede nell’ultima città liberata dallo Stato islamico, a nord di Aleppo. Le fonti preferiscono non essere citate per nome perché anche se sulla zona non grava più il controllo del gruppo estremista, che accusava i dissidenti di essere spie e li puniva con la morte, c’è un clima nervoso. Manbij poggia sulla grande “faglia etnica” siriana che divide gli arabi e i curdi – divide si fa per dire, non ci sono linee disegnate con la riga – e questo vuol dire che dopo la liberazione c’è stata una settimana di grande festa e che però ora comincia un esperimento di coabitazione mista e di autogestione con pochi precedenti. Il governo di Damasco “quassù non arriva, come se non esistesse più da quattro anni. I curdi sospettano degli arabi perché li considerano potenziali fiancheggiatori dello Stato islamico.

 

La liberazione della città è cominciata con un convoglio lunghissimo di auto di leader e di combattenti dello Stato islamico che è uscito dalla città facendosi scudo con migliaia di persone: il convoglio viaggiava a passo d’uomo e a destra e a sinistra c’erano file di civili a piedi, usati come scudi umani contro i bombardamenti aerei. E infatti per la prima volta gli aerei americani si sono trattenuti dal colpire un obiettivo così facile e non hanno sganciato bombe per non fare una strage. C’è chi accusa quei civili – non tutti, una parte – di non essere innocenti sequestrati qualche ora per essere usati in quel modo, ma complici, e di avere coperto la fuga degli estremisti verso Jarablus (un’altra città in mano allo Stato islamico, vicino al confine con la Turchia)”.

 

Gli arabi sospettano dei curdi perché temono che abbiano un piano egemonico, trasformare tutto il nord della Siria in un nuovo Kurdistan autonomo, come in Iraq. “I combattenti curdi stanno esercitando una censura cautissima, non vogliono problemi, fanno attenzione ai giornalisti che girano e infatti in città non ce ne sono molti. Hanno bloccato alcune  famiglie che devono ancora rientrare nelle loro case, bisogna vedere se la questione si sistema”. Manbij è stata conquistata dalle Forze siriane democratiche (Sdf), un assortimento di combattenti in maggioranza curdi che include anche arabi. Le Sdf hanno provato di essere le più efficienti nella lotta allo Stato islamico e sono appoggiate dall’America, che aiuta con rifornimenti di munizioni e soprattutto con i bombardamenti dei jet (le bombe lanciate dagli aerei sono il vantaggio che consente alle Forze democratiche a terra di prevalere sullo Stato islamico).

 

La liberazione è stata immortalata in foto di donne che si sbarazzavano del velo – sul volto – e di uomini che accorciavano le barbe e fumavano sigarette. Pochi giorni dopo le Forze democratiche hanno ceduto il controllo della città a due organi locali, il Consiglio militare di Manbij e il Consiglio civile, e ora la “fase civile” è osservata con attenzione perché farà da modello per la liberazione delle altre città nell’area dove il governo di Damasco è troppo debole per reclamare la restituzione del territorio – come Jarablus, al Bab e anche Raqqa, la capitale dello Stato islamico.

 

Il presidente Bashar el Assad è per principio contrario a questa soluzione, anche se non lo dichiara esplicitamente per non rovinare il clima da resistenza popolare contro lo Stato islamico. Tuttavia, ad aprile ha promesso di riprendere tutta la Siria, shibr shibr, che in arabo vuol dire “ogni pollice”. Potrebbe andare a finire come nella vicina città di Hasaka, dove ieri i jet del Pentagono hanno impedito agli aerei siriani di bombardare per il secondo giorno consecutivo i combattenti curdi, “colpevoli” di essere ostili alle truppe del governo che controllano un paio di quartieri.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)