Il vertice di Ventotene deciderà qualcosa?
Il vertice di Ventotene deciderà qualcosa? No. La retorica è un’arma della politica, ma diventa un’implacabile nemica quando si dimenticano i meccanismi istituzionali. Come funziona la governance dell’Europa? I capi di Stato indicano gli orientamenti generali nel Consiglio europeo, la Commissione propone le leggi che poi sono adottate dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione europea, Commissione e governi nazionali poi attuano le leggi. Tutto chiaro? Che cosa è dunque il vertice di Ventotene? Un format politico che cerca di coordinare le posizioni di Italia, Germania e Francia in vista del prossimo Consiglio europeo del 16 settembre a Bratislava. Il presidente del Consiglio, Donald Tusk, è già al lavoro, la lista degli incontri bilaterali tra i capi di Stato è in via di definizione. E’ più importante Ventotene o Bratislava? La seconda. Perché poi nel Consiglio si prendono decisioni per consenso, ogni capo di Stato vota e i tre del neo-direttorio (Germania, Francia e Italia) fanno i conti con le linee politiche di altri 24 stati.
A Bratislava il vertice è informale, ma senza consenso, non c’è politica. Qual è il primo punto in agenda? La Brexit. Che si fa con i sudditi di Sua Maestà? Escono tout de suite come vogliono i francesi e in parte gli italiani, o restano nell’Unione fino al 2019, data che è saltata fuori dal cilindro dopo l’incontro a Berlino tra Theresa May e Angela Merkel? Questo è il focus della discussione. E tutto il resto di cui sono inchiostrate le pagine dei giornali? Crescita, immigrazione, Difesa europea? I temi sono in agenda, ma non è a Ventotene che si decide che fare. La politica economica si fa (e disfa) con le riunioni dei ministri dell’Economia e delle Finanze dentro l’Eurogruppo, l’organo a cui aderiscono i 19 stati che hanno adottato la moneta unica. E su tutto aleggia una figura: Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, l’uomo che manovra la catapulta del denaro. Ventotene? Nobile iniziativa, un tentativo di ménage à trois politico per non rompere i piatti a Bratislava. Con non pochi rischi: perché nelle dichiarazioni finali non devono emergere differenze enormi, deve essere chiaro che un risultato politico significativo è stato raggiunto, perché il presidente del Consiglio non deve apparire come quello che ha fatto un giro a vuoto, perché il 2 ottobre in Ungheria c’è un referendum sulla politica dell’Europa sui migranti, perché lo stesso giorno si ripete il voto delle presidenziali in Austria, perché i rischi di un’altra Brexit (Olanda e non solo) sono reali, perché gli altri 24 stati guardano e ascoltano e potrebbero irritarsi e preparare uno sgambetto a Bratislava. Si chiama realtà.
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