L'ambiguità dell'islam moderato alla prova dei massacri d'occidente
Roma. “In quarantasette anni non ho mai convertito nessun musulmano. In tutto questo lungo periodo ho avuto solo quattro-cinque richieste, ma i primi due erano delle spie incaricate di verificare se intendevo convertire musulmani, gli altri erano interessati ad avere un passaporto europeo. Per cui, non ho mai accettato nessuno”. Monsignor Camillo Ballin, vicario apostolico dell’Arabia del nord, si è commosso venerdì scorso mentre al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione delineava la situazione dei cristiani nelle terre in cui vive e opera. Una presenza minima, numericamente insignificante, ma capace di farsi comunità. Lo dimostra il caso del Qatar, dove le chiese – una per confessione religiosa – sono costruite una affianco all’altra, in una zona ben delimitata, con il divieto di esibire all’esterno campanili e croci e aperte solo agli stranieri. Eppure, la messa domenicale (celebrata il venerdì alle 7.30 del mattino) è affollata, tanto da fare impallidire al confronto tante chiese sparse per l’Europa. Mons. Ballin, grande conoscitore della realtà araba – ha passato la vita sacerdotale tra il Libano, la Siria, l’Egitto, il Sudan e il Kuwait – e ben poco avvezzo ai toni da crociata, vede quel contesto in movimento. “C’è molta voglia di rivoluzione”, ha detto a Radio Vaticana. Si riferisce alle “famose primavere arabe”, che da “rivoluzioni sociali sono diventate rivoluzioni fondamentaliste”. Sul futuro, solo nebbia, “anche perché i moderati non si sono mai espressi”.
E’ questo il punto centrale, nota il vicario in Arabia, mons. Camillo Ballin: “Cosa hanno fatto, cosa hanno detto i moderati? Li abbiamo visti improvvisamente in chiesa, alcune settimane fa, dopo l’uccisione di quel sacerdote, ma per me è stato più un evento emotivo che non una vera presa di posizione contro qualche cosa”, ha aggiunto ai microfoni di Radio Vaticana. “Avrei preferito un evento più laico. Non hanno mai fatto una dimostrazione civica, pubblica, per dire che l’islam non è quello là. Possiamo noi convincere il mondo che l’islam non è violento, se questi ‘moderati’ non hanno mai fatto una dimostrazione per dimostrare al mondo che quello non è il vero islam? Occorre una presa di posizione molto più seria, molto più radicale, con interviste ai giornali e con prese di posizione anche politiche, con espressioni chiare, forti, per dire che quello non è il vero islam. Ma questo non è successo e mi sembra che non stia succedendo”. E dove è accaduto (in Francia) si è assistito alla repentina marginalizzazione di quanti hanno denunciato la deriva sempre più radicale. L’imam di Nîmes, Hocine Drouiche, all’indomani del massacro sulla Promenade des Anglais, a Nizza, scriveva che “dai musulmani non è arrivato un vero impegno a trovare una soluzione al grande problema della radicalizzazione e dell’odio”, al punto che ormai è difficile “distinguere l’islam dall’islamismo”.
Che uno dei problemi sia rappresentato proprio dai sommovimenti rivoluzionari di cui parlava mons. Ballin è dimostrato anche dal fatto che una delle voci più autorevoli che si sono levate nel mondo musulmano è stata quella di Maometto VI, re del Marocco, paese rimasto immune dal contagio dei venti primaverili che hanno lasciato macerie in Libia ed Egitto, forse anche perché da sempre è un’anomalia nella variegata realtà islamica (dal 2003 ha adottato un codice di famiglia che abolisce l’obbligo della moglie di obbedire al marito, per esempio). In un discorso ai propri connazionali in patria e all’estero, il sovrano ha auspicato che “di fronte alla proliferazione della diffusione dell’oscurantismo in nome della religione, tutti i musulmani, cristiani ed ebrei, devono costruire un fronte comune per contrastare il fanatismo, l’odio e l’isolazionismo in tutte le sue forme”. Dure sono state le parole pronunciate in relazione al barbaro assassinio dell’ottantaseienne padre Jacques Hamel, il sacerdote sgozzato in una chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, vicino Rouen, in Normandia: “Condanniamo con forza l’uccisione di persone innocenti”, quel gesto è stato “una follia imperdonabile”. Il dito, Maometto VI, l’ha puntato contro i “molti gruppi e istituzioni islamiche” che pretendono di “incarnare il vero islam” finendo così per promuovere la “diffusione di un’ideologia estremista”. Di “attacco terroristico impietoso” in riferimento all’uccisione del sacerdote francese ha parlato anche l’ayatollah iraniano Makarem Shirazi, in una lettera inviata al Papa in cui lo ringrazia per aver chiaramente distinto tra islam e terrorismo nel corso della conferenza stampa aerea tra l’Italia e Cracovia, ove s’è recato il mese scorso.
Si ripropone, dunque, ancora una volta la questione della natura più o meno pacifica dell’islam e del rapporto di questo con il cristianesimo. Jeffrey Mirus, in un editoriale su Catholic Culture, si è domandato se “caratterizzare la religione islamica come violenta sia in contraddizione con il magistero della chiesa cattolica”. La risposta che Mirus si dà è che il magistero si applica “esclusivamente alle questioni che Dio ha rivelato” e che quindi è lecito per ogni fedele al Papa avere opinioni personali sul tema: “Domandarsi se l’islam sia una religione di pace o di violenza non può essere considerata materia di insegnamento magisteriale, a meno di non cadere nel grave errore di credere che l’islam sia divinamente rivelato”.