Una chiesa mormona nello Utah

Per capire il futuro degli elettori conservatori, follow the mormoni

Pasquale Annicchino
La Chiesa mormone, che per anni è stata perseguitata dal governo federale proprio a causa della religione che professava, ha scaricato Trump sulla questione islam, poi ha corteggiato il libertario Johnson e infine si è divisa.

Fino a qualche settimana fa sembrava esserci una pazza alternativa possibile alla scelta tra Hillary Clinton e Donald Trump. I due calavano entrambi nei sondaggi. I candidati outsider recuperavano punti con regolarità. Su tutti era Gary Johnson, il candidato del partito libertario ed ex governatore del New Mexico, a essere quello con maggiori possibilità di raccogliere voti utili. Si immaginava addirittura uno scenario nel quale Clinton e Trump non potessero arrivare ai 270 voti utili per vincere le elezioni e un paio di vittorie di Johnson in alcuni stati (Utah e New Mexico) avrebbero consentito alla Camera dei rappresentanti di scegliere un Presidente alternativo rispetto a Clinton e Trump. Ora i segnali non sono così positivi. Hillary continua a guadagnare punti in stati chiave e i sondaggi di Trump continuano a peggiorare. Inoltre, proprio dallo Utah, è arrivato l’ultimo candidato, quell’Evan McMullin che probabilmente non riuscirà a essere presente in tutti gli stati, ma che sembra essere il segnale che Johnson difficilmente riuscirà a portare a casa un risultato utile.

 

McMullin è infatti espressione di quel mondo politico, spesso vicino a Mitt Romney, che ha proprio nello Utah il suo centro di interessi. Intendiamoci, a questo punto probabilmente le vicende dello Utah non appaiono d’interesse per il dato statistico-elettorale, quanto per il loro segnalare alcuni trend politico-culturali sui quali sarà interessante riflettere anche dopo le elezioni. I fedeli della chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, cioè i mormoni, sono in grande maggioranza nello Utah e, nonostante siano stati negli ultimi cinquanta anni i più fedeli elettori repubblicani in tutti gli Stati Uniti, hanno manifestato, fin da subito, aperta ostilità contro Trump. Alle primarie Trump riuscì infatti a raccogliere solo un misero 14 per cento mentre Ted Cruz vinceva con il 69,2 per cento dei consensi. Di Trump in Utah non piace nulla e non si tratta solo dei suoi rapporti con Mitt Romney. Il problema, si direbbe, è quasi antropologico. Il materialismo, la sfacciataggine, il modo di trattare le donne, la manifesta strafottenza. Ma il dato che ha fatto traboccare il vaso è stata la proposta di divieto di ingresso negli Stati Uniti per i fedeli di religione musulmana.

 

I mormoni, che per anni sono stati perseguitati dal governo federale proprio a causa della religione che professavano, non ci hanno visto più e hanno preso la loro decisione: “Never Trump”. E’ qui che Gary Johnson ha cominciato a sembrare una terza via possibile, viste soprattutto le sue posizioni conservatrici sulle questioni economiche. A fine luglio però Johnson ha rilasciato un’intervista alquanto ambigua al Washington Examiner nella quale criticava proprio la tutela della libertà religiosa di coloro che hanno manifestato la volontà di non prestare i loro servizi come fotografi o pasticceri per i matrimoni omosessuali dichiarando che fosse compito del governo federale prevenire queste discriminazioni. I mormoni, che nello Utah sono riusciti a raggiungere un compromesso che tutela sia la libertà religiosa sia i diritti degli omosessuali, hanno capito l’antifona e Johnson non è parso più un’opzione.

 

A poco è servito l’intervento riparatorio scritto da Johnson per Deseret News, il giornale semi-ufficiale della Chiesa. Nonostante il momento magico di Johnson sembra essere passato, dati recenti segnalano un incremento delle donazioni (2,9 milioni di dollari nel solo mese di agosto), ma gli ultimi sondaggi lo inchiodano a un 9 per cento su base nazionale che appare ancora essere lontano dal 15 per cento richiesto per poter partecipare ai confronti pubblici fra candidati. Nei prossimi mesi sarà senza dubbio interessante osservare le evoluzioni del post-trumpismo per vedere cosa resterà di quella strana alleanza tra conservatori economici e conservatori religiosi che aveva definito la base del Partito repubblicano. Lo Utah sarà un laboratorio da tener d’occhio.

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