Perché Trump accarezza una svolta moderata sull'immigrazione
Roma. Donald Trump aveva in programma per domani un discorso sull’immigrazione in Colorado, ma l’evento è stato cancellato all’improvviso. Il testo, dicono i suoi consiglieri, “sta subendo ancora alcune modifiche”. Al posto del comizio il candidato repubblicano sta registrando a San Antonio, in Texas, una conversazione in due puntate in stile “town hall” guidata da Sean Hannity di Fox News sui temi della “sicurezza al confine e sui crimini commessi dagli immigrati clandestini”, circostanza che dovrebbe permettere a Trump di completare il ragionamento inziato lunedì, sempre su Fox. Ai microfoni di Bill O’Reilly il candidato aveva lasciato trapelare alcune modifiche al suo ambizioso piano anti immigrazione, che prevede, oltre al muro sul confine con il Messico e alla chisura temporanea delle frontiere per i musulmani, anche il rimpatrio degli 11 milioni di clandestini che vivono negli Stati Uniti. Dopo aver promesso per oltre un anno la cacciata senza eccezioni di tutti gli immigrati senza documenti, ora Trump dice che li separerà in due gruppi: da una parte i “cattivi”, “i membri delle gang”, gli “stupratori”, quelli che “vanno in giro ad uccidere e a far male alle persone”; la polizia, dice Trump, sa benissimo chi sono questi soggetti ma per convenienza politica non fa nulla per fermarli: “Li cacceremo a una velocità tale che le teste gireranno”. Dall’altra parte della barricata ci sono “tutti gli altri”. Per questo secondo gruppo, le cui caratteristiche non sono chiaramente specificate, Trump promette di fare esattamente quello che ha fatto l’amministrazione Obama, soltanto “con molta più energia”.
E’ la prima volta dall’inizio della campagna elettorale che Trump fa cenno alla possibilità di moderare una delle sue iconiche promesse intorno al tema dell’immigrazione, che in qualche modo racchiude e sintetizza la sghemba filosofia nazionalista e protezionista che il candidato promuove. Lo fa nel tipico modo ambiguo che permette agli elettori di trattenere ciò che vogliono del suo messaggio e a lui di sostenere alla bisogna di essere stato frainteso, ma è la prima volta che si intravvede la possibilità di una virata sostanziale su un tema ad altissimo coefficiente simbolico. Già sabato scorso, davanti ai membri di un consesso di congilieri ispanici creato all’ultimo momento, Trump ha spiegato che la sicurezza al confine è fondamentale ma le operazionei di rimpatrio vanno eseguite in modo “umano ed efficiente”. Da quella riunione a porte chiuse, nella quale pare che il candidato abbia chiesto di proporre soluzioni per risolvere il problema dei rimpatri, l’agenda degli appuntamenti trumpiani è cambiata e con lei è cambiato anche il tono. Dalla promessa di nuove leggi e di una “task force dei rimpatri” si è passati all’elogio delle leggi in vigore, che permettono già ampio spazio di contrasto alla calndestinità. “Quello che la gente non sa è che Obama ha cacciato un numero enorme di persone. Bush ha fatto la stessa cosa. Un sacco di gente è stata portata fuori dal paese con le leggi esisteni. Bene, io farò la stessa cosa”, ha detto Trump.
Fra tutte le proposte iperboliche e provocatorie che il candidato del “law and order” ha sbandierato, quella del rimpatrio di 11 milioni di immigrati clandestini pertiene al reame dell’impossibile. Se è vero che Bush e Obama hanno accelerato il ritmo dei rimpatri di massa inaugurati nel 1996 dall’amministrazione Clinton, per portare oltre il confine tutti i clandestini Trump dovrebbe cacciarne circa un milione e trecentomila all’anno per due mandati, quasi cinque volte di più del record di rimpatri stabilito nel 2009, quando il dipartimento della sicurezza nazionale ha ordinato la cacciata di 237 mila immigrati senza documenti. Un compito che appare tecnicamente impossibile anche se Trump avesse a disposizione i 15 mila agenti della sicurezza nazionale che dice di volere, il triplo rispetto a quelli in servizio. Localizzare, fermare e rimandare oltre il confine tutti i clandestini richiederebbe un dispiego di forze di polizia senza precendenti nel contesto di uno stato di diritto.
Così Trump accarezza l’idea di fare una distinzione, fin qui ampiamente trascurata, fra clandestini buoni e cattivi, fra i criminali schedati dalla polizia e le famiglie che anche senza documenti cercano di navigare onestamente nel grande fiume della vita americana. A conti fatti non è un approccio troppo diverso da quello di Obama. Nel tempo l’amministrazione in carica – che rimane al primo posto nella classifica del contrasto all’immigrazione clandestina – ha ridotto il numero di rimpatri, concentrandosi sui reati più che sulla regolarità dei documenti. Trump sta pensando a una soluzione simile, ma messa in atto con più decisione.