Pace fatta tra Sisi e i cristiani d'Egitto, via libera alle nuove chiese
Roma. Solo qualche giorno fa il Papa copto, Tawadros II, scriveva una dura nota con cui denunciava l’impossibilità in Egitto di costruire o restaurare le chiese cristiane: “E’ come se il riunirsi, la preghiera e il culto per i cristiani fossero un crimine e il cristiano egiziano potesse incontrare il suo Signore nel culto soltanto mediante un’autorizzazione o un decreto di cui deve attendere la delibera”, osservava. Un messaggio diretto alla leadership politica e in particolare ad Abdel Fattah al Sisi, il presidente che i copti avevano sostenuto a lungo, ringraziandolo per aver messo fine alla breve stagione della Fratellanza musulmana al potere. Giovedì, la chiesa copta annunciava che l’esito dell’estenuante trattativa per portare in Parlamento la proposta di legge sulla costruzione e il restauro dei luoghi di culto cristiani era andata a buon fine. La prima bozza del provvedimento era stata respinta e definita “inaccettabile” da tutte le chiese egiziane: troppo poca libertà in quelle norme, troppi gli insidiosi cavilli inseriti qua e là negli emendamenti. Per citarne un paio, il permesso di costruire le chiese concesso a patto che a nessuno venisse in mente di aggiungere una croce sulla facciata esterna o una cupola, o che la superficie occupata dall’edificio rispecchi in proporzione il numero di fedeli dell’area interessata.
La tensione era cresciuta, dentro e fuori il paese: dagli Stati Uniti, la Voice of Copts pubblicava una lunga lettera aperta a Sisi, in cui gli si chiedeva conto delle promesse mancate e della scarsa protezione accordata alla consistente popolazione copta presente in Egitto (che è il paese arabo con la più numerosa comunità cristiana). Intanto, centocinque vescovi si riunivano per esaminare una nuova versione della proposta di legge (costituita da solo dieci articoli) proposta dal governo. L’esito del negoziato è che si è raggiunta “una formula di compromesso” che soddisfa apparentemente entrambe le parti. L’iter non è concluso, la palla torna ora nel campo del governo che – una volta approvato il documento – lo trasmetterà al Parlamento per la ratifica finale e la successiva entrata in vigore. Per i copti è un buon risultato: la norma era attesa da anni, le promesse erano state tante (anche dal vecchio rais, Hosni Mubarak), i risultati ben pochi. Con la legislazione attuale, per restaurare un edificio di culto cristiano servono decenni, ammesso che le autorizzazioni arrivino. Per i vertici della chiesa copta, il compromesso è un primo passo sul terreno – assai accidentato e delicato – della libertà religiosa in un paese dove aumentano giorno dopo giorno gli attentati ai luoghi di culto cristiani. Lo scorso maggio, nel villaggio di Karma, una donna settantenne, cristiana, era stata costretta a sfilare nuda, mentre il pubblico rideva e innaggiava ad Allah. L’anziana doveva essere punita perché madre di un cristiano sospettato di avere una relazione extraconiugale con una donna musulmana. Padre Rafic Greiche, portavoce della chiesa cattolica egiziana, diceva al portale AsiaNews che la motivazione non era altro che un pretesto per “attaccare la comunità cristiana locale”. Alla “punizione” era seguito l’incendio di almeno sette case abitate da famiglie copte. A seguito dell’attacco, Sisi assicurava che i colpevoli sarebbero stati trovati, rimuovendo il capo della sicurezza locale come segno di buona volontà. Il presidente garantiva protezione per i cristiani e il desiderio di promuovere una reale parità di trattamento tra i cittadini di credo diversi, benché “ci vorrà tempo per cambiare una cultura dominante”. L’auspicio finale è quello di Tawadros II: “Ci auguriamo che le tante bozze, discussioni e proposte si traducano in una legge, non in articoli dalla bella forma ma dal contenuto oscuro o, come si dice in dialetto egiziano, una torta ripiena di vetro”.