Otto mesi di negoziati creano in Spagna il partito della nazione di fatto
Roma. Dopo due elezioni, otto mesi trascorsi senza un governo in carica e migliaia di retroscena politici sui giornali, i partiti spagnoli sembrano avere infine trovato un accordo credibile per porre fine all’impasse che blocca il paese. Lo hanno annunciato domenica Mariano Rajoy, leader del Partito popolare (Pp) e premier facente funzioni, e Albert Rivera, capo del partito centrista Ciudadanos, e prevede un accordo programmatico di 150 punti e una maggioranza di 170 parlamentari.
L’accordo è credibile ma non definitivo, perché ai due partiti (a cui si aggiunge il deputato della Coalición Canaria) mancano 6 deputati per ottenere la maggioranza assoluta, e ciò significa che questa settimana Rajoy e Rivera affronteranno il voto di fiducia senza garanzie di successo. Domani, alla prima votazione, la coalizione avrebbe bisogno di sei voti favorevoli per dare il via al governo, mentre all’eventuale votazione di giovedì, quando per l’approvazione dell’esecutivo basterà una maggioranza semplice, servirebbe l’astensione di 11 deputati. Escludendo gli antisistema di Podemos, l’unico partito in grado di fornire la stampella necessaria è ancora una volta quello dei socialisti guidato da Pedro Sánchez, che però resistendo ai richiami alla responsabilità di molti socialisti autorevoli (vedi Felipe González) e della stampa amica (vedi El País), ieri ha negato il suo appoggio definendo troppo “conservatore” il progetto politico di Rajoy e Rivera.
Ma mentre la Spagna si divide tra ottimisti e scettici e tutti aspettano il voto di questa settimana per sapere se si tornerà o meno a terze elezioni (la data più probabile potrebbe essere a quel punto il 25 dicembre prossimo) in questi mesi la ricerca spasmodica di un accordo e il vorticare continuo di negoziati e abboccamenti, con coalizioni più o meno plausibili che sulle pagine dei giornali di costruivano e disfacevano come un puzzle, ha cambiato profondamente la politica spagnola. Abituata, nella sua storia democratica, a governi monocolore e a un bipolarismo serrato, la Spagna in questi mesi ha visto saltare una barriera politica dopo l’altra, le ideologie mischiarsi, le rivalità assopirsi. L’accordo tra Pp e Ciudadanos è uno degli esempi migliori. Dei 150 punti di cui è composto, ben 100 sono la riproduzione letterale di parte di un accordo precedente, e fallito, siglato a febbraio tra Sánchez e lo stesso Rivera. Per attirare l’appoggio dei socialisti, in pratica, il conservatore Rajoy ha dovuto accettare che una parte consistente del suo programma di governo fosse scritta in precedenza dai socialisti stessi – i quali, però, oggi giudicano come conservatore un programma pieno di misure che pochi mesi fa avevano sottoscritto.
Ciudadanos ha inaugurato un’altra novità assoluta per la politica spagnola, passando da una coalizione all’altra a tempo di record. Se a febbraio Rivera stringeva la mano a Sánchez per formare un governo progressista mai nato con i socialisti, domenica scorsa ha fatto lo stesso con Rajoy in chiave conservatrice. Ciudadanos ha una forte aspirazione centrista e stabilizzatrice e nel cercare accordi per favorire la governabilità fa solo il suo lavoro, ma per gli spagnoli vedere le alleanze farsi e difarsi con tanta facilità è un piccolo choc, tanto che Rivera ha detto ieri di essere disposto a “perdere la sua credibilità” pur di garantire alla Spagna un governo. Questo senza contare il fatto, ormai appurato da dicembre che, per governare, la destra ha bisogno dell’appoggio della sinistra.
L’amalgama dei programmi, dei voti incrociati e delle alleanze, conditi da lunghi mesi di incertezza politica, ha provocato l’implosione delle divisioni politiche, e creato una situazione che va in un certo senso oltre quella della grande coalizione tradizionale. Appeso alla matematica dei seggi parlamentari, in Spagna si è ormai creato un partito della nazione di fatto, che trascende le ideologie e cerca di dare al paese il governo che gli manca da troppo tempo. E il risultato perfetto per Mariano Rajoy, politico dall’animo puramente tecnocratico. Gli mancano pochi voti per raggiungerlo.
I conservatori inglesi