Rajoy non supera il “no” di Sánchez
Mariano Rajoy, premier spagnolo facente funzioni, non è riuscito a superare il blocco politico e istituzionale che avvinghia il paese da oltre otto mesi. Dopo la prima votazione di fiducia fallita del 31 agosto, alla coalizione composta dal Partito popolare di Rajoy e dalla formazione centrista Ciudadanos, guidata da Albert Rivera, oggi sarebbe bastata una maggioranza semplice per dare il via a un governo di minoranza, ma nessuna formazione ha offerto gli appoggi necessari, e la coalizione si è fermata ai 170 voti favorevoli di cui è già in possesso, contro i 180 contrari. Nel breve dibattito che ha preceduto la votazione, le attenzioni di tutti (di Rajoy, di Rivera, perfino di Pablo Iglesias, il leader di Podemos) si sono rivolte verso Pedro Sánchez: spettava al suo Partito socialista fornire le astensioni necessarie (undici) per consentire la formazione di un governo e sbloccare il paese. I sondaggi hanno mostrato che gli elettori sarebbero favorevoli, e i giornali, compresi quelli di sinistra, negli scorsi giorni hanno condannato duramente Sánchez per proseguire il suo testardo blocco politico – soprattutto in totale assenza di una soluzione valida.
Sánchez però è rimasto irremovibile, ha fatto fallire il voto di fiducia, e ha concluso il suo breve intervento parlamentare con una frase sibillina ma apparentemente vuota: “Se agiremo con lungimiranza e generosità troveremo una soluzione, e il Psoe ne sarà parte”. Pablo Iglesias e Podemos da tempo insistono con Sánchez – che ha guidato il Partito socialista alla due peggiori sconfitte della sua storia e ha sempre detto che rimarrà all’opposizione – per creare un governo d’alternativa, ma la matematica parlamentare non sembra dalla loro parte.
Adesso che il tentativo di Rajoy è fallito, alla Spagna restano poche opzioni. Il voto di fiducia ha fatto ripartire il cronometro che porterà a nuove elezioni. Secondo la Costituzione spagnola, dopo il voto parlamentare i partiti hanno due mesi (fino al 31 ottobre) per formare un governo o andare a nuove elezioni. Questo significa che il re Felipe VI, capo dello stato, potrebbe indire nuove consultazioni lampo, e dare l’incarico al candidato, vecchio o nuovo, che a suo giudizio potrebbe avere più possibilità di riuscita. L’incarico potrebbe essere ridato a Rajoy (che nei giorni scorsi non ha escluso l’ipotesi), a Sánchez, ma in teoria l’unico requisito necessario dettato dalla Costituzione è essere un cittadino spagnolo maggiorenne. L’ipotesi di un governo tecnico in Spagna, per quando lontanissima, non è più fantascientifica.
Se i politici non riusciranno a mettersi d’accordo – il tempo è scarsissimo se si pensa che tra le elezioni dello scorso giugno e il voto di fiducia sono passati ben più di due mesi – la Spagna andrà alla sua terza elezione nel giro di meno di un anno. Un record e un’umiliazione per un paese abituato a governi stabili e monocolore. Secondo i tempi previsti dalla Costituzione e dalla legge elettorale, il giorno delle terze eventuali elezioni spagnole potrebbe essere il 25 di dicembre. I socialisti, tuttavia, potrebbero presentare una mozione per ridurre la campagna elettorale e anticipare la data al 18 dicembre, evitando delle elezioni natalizie che potrebbero dare un vantaggio agli elettori popolari, storicamente più fedeli e irregimentati.
Nel frattempo, rimarrà attivo il governo facente funzioni di Rajoy, privo di poteri di legislazione. Al contrario di quanto raccontato da alcuni media internazionali, questo è un guaio sempre più grave per la Spagna. Il Parlamento dovrebbe approvare verso ottobre il Budget dello stato per renderlo attivo il primo gennaio del 2017 e rispettare le attese e i vincoli dell’Unione europea, ma questo non è possibile senza un governo che lo proponga. Se il Parlamento non riuscirà ad approvare il Budget 2017, rimarrà attivo quello del 2016, ma questo significa che saranno bloccati nuovi contratti e nuove misure economiche, e che gli enti locali vedranno ridotti significativamente i loro fondi. La Spagna è vicina a bloccarsi per davvero.