“Proibiranno anche il Natale”. Il rapporto Casey, zar inglese all'integrazione
Roma. “Chiamate Casey” è il grido che sale puntuale da Downing Street ogni volta che c’è una questione sociale da affrontare. E’ vent’anni che Dame Louise Casey riceve incarichi da governi laburisti e conservatori. Il primo fu Tony Blair, che l’avrebbe nominata “zar per le vittime di abusi”. Casey rinunciò a questo ruolo per guidare l’inchiesta sui riots di Londra del 2011. Poi, nel settembre dello scorso anno, Casey è stata chiamata dall’allora ministro Eric Pickles a investigare sugli abusi sessuali a Rotherham da parte delle gang di immigrati pachistani, con non poca connivenza da parte di politici, polizia, media.
Militante di Amnesty International, figlia della classe operaia, beniamina dei senzatetto, “una delle cento donne più influenti d’Inghilterra” secondo Woman’s Hour della Bbc, oggi Casey è “zar all’integrazione”. Hanno fatto non poco scalpore le indiscrezioni su un suo atteso rapporto che uscirà nei prossimi giorni e anticipato ieri dalla stampa inglese. Casey ha detto che le tradizioni cristiane, come la celebrazione del Natale, sono in pericolo a causa della segregazione etnica che divide la società. “Cosa abbiamo mai trovato di offensivo nel celebrare il Natale con un albero?”, ha chiesto Casey. Tradizioni messe in pericolo dal “politicamente corretto ufficiale” che un giorno, non troppo lontano, potrebbe vietare il Natale.
“Dobbiamo essere molto più audaci nel celebrare la nostra storia, il nostro patrimonio e la nostra cultura”, ha continuato Casey, che ha anche denunciato “la crescita dei tribunali della sharia in alcune comunità musulmane”. “Non è razzista dire che il ritmo e il tasso di immigrazione hanno causato un profondo cambiamento in Gran Bretagna. Un gran numero di persone deve spostarsi improvvisamente da una zona quando una scuola ha una grande popolazione di una minoranza religiosa che può cambiare il suo carattere abbastanza rapidamente”. Qualche anno fa Peter Hitchens sul Daily Mail scrisse una column dal titolo “Buon Natale! Prima che venga abolito”. Allora sembrò una boutade. Adesso è un disperato j’accuse governativo.
Che Casey abbia ragione lo dice anche la cronaca di questi anni. E’ stato impedito alla chiesa anglicana d’Inghilterra di proiettare uno spot di sessanta secondi sulla preghiera cristiana del “Padre Nostro”. La società che gestisce la pubblicità nelle sale cinematografiche ha spiegato che lo spot potrebbe “offendere il pubblico”. Un cimitero a Burnley ha rimosso il crocifisso dal forno crematorio per non offendere chi non vi si riconosce, visto che ormai il quaranta per cento delle funzioni è riservato a persone non cristiane. Sempre per non offendere i musulmani, la Bbc ha pensato che fosse opportuno non usare più le espressioni “avanti Cristo” e “dopo Cristo”, in inglese b. C. (before Christ) e a. D. (anno Domini). Molto meglio le neutrali espressioni “Before common era” e “Common era”. Di “svilimento della base cristiana della nostra cultura, lingua e storia” ha parlato il vescovo anglicano Michael Nazir-Ali. D’altronde è a un musulmano, Aaqil Ahmed, che la Bbc ha dato l’incarico di responsabile della programmazione religiosa dell’emittente pubblica, scatenando le proteste dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams.
Anche il logo della scuola cristiana a Huddersfield, che ritraeva un albero con al centro una croce, è stato sostituito questa estate da tre rami che hanno rimpiazzato il tradizionale simbolo cristiano. La stessa croce di San Giorgio è scomparsa da alcuni gate di Heathrow o dai taxi di Blackpool e Cheltenham. E anche la cittadina di Radstock, nel Somerset, ha ammainato la tradizionale bandiera con la croce per non “offendere i musulmani” su iniziativa di un consigliere laburista, che ha detto che “faceva pensare alle crociate”. L’Inghilterra si spoglia del vecchio per fare spazio al nuovo. Faranno la stessa fine “I racconti di Canterbury” di Chaucer e “Assassinio nella Cattedrale” di Eliot?
Dalle piazze ai palazzi