“Liberal in limousine”. Crisi e limiti di Hillary spiegati da un liberal
In apertura di “Hooking Up” (2000), Tom Wolfe, inventore della celebre espressione “radical chic”, inquadrò un certo tipo di intellettuali che parlano “in modo esitante, sussurrando”, per il timore di rivelare verità che non devono essere ascoltate dal volgo, come nel caso di William Shawn, direttore del New Yorker, paradiso dei liberal americani. In questo libro Wolfe scrive: “Nel 2000, il termine ‘classe operaia’ era ormai superato negli Stati Uniti, e ‘proletariato’ era così obsoleto da risultare familiare soltanto a un esiguo numero di vecchi e avviliti accademici marxisti con i peli sulle orecchie”. Questi intellettuali marxisti facevano parte della sinistra americana, quella dotata di “indispensabile indignazione” (sempre Wolfe), ala estrema del mondo liberal, non marxista, ma “marxista rococò” che “non chiede altro che di restare lassù, distaccato dalla folla, i filistei, ‘la classe media’”.
Ora queste definizioni si attagliano perfettamente al libro di Steve Fraser, “The Limousine Liberal: How an Incendiary Image United the Right and Fractured America” (Basic Books), anche se i liberal che Fraser (egli stesso un liberal a 18 carati) descrive si guardano bene dall’avere le orecchie piene di disgustosi peli: vanno in limousine anche per fare soltanto 200 metri. L’espressione “limousine liberal” fu coniata da Mario Procaccino, il candidato democratico nelle elezioni a sindaco di New York nel 1969, per irridere il riccone John Lindsay, candidato repubblicano, ma di quella specie di repubblicani liberal che Barry Goldwater contrastò con successo, sconfiggendo Nelson Rockefeller nelle primarie del Partito Repubblicano del 1964. Quella specie di repubblicani, poi, fortunatamente si estinse.
Il libro di Fraser ricostruisce la storia di questa congerie, spesso incoerente e di diverso riferimento sociale, ma ben presente nella storia americana, che ha rappresentato e rappresenta una parte considerevole dell’elettorato americano. In termini molto generali, si può dire che questo settore della popolazione faccia riferimento a una visione conservatrice della società americana, che Fraser prende in considerazione a partire dai primi anni del Novecento, durante l’èra progressista, quando si formò una schiera di esperti che, lavorando a stretto contatto con le agenzie governative, acquisirono un elevato status sociale e furono subito invisi alla gente comune, ai “populisti di destra” che appiopparono a questi “white collars” epiteti alquanto caustici: “modelli da salotto”, “marxisti in Mercedes”, “pomposi diplomatici in calzoni a righe” (come disse Joe McCarthy riferendosi al segretario di Stato Dean Acheson), fino all’attuale candidata democratica alla Casa Bianca Hillary Clinton, che Fraser definisce “la quintessenza dell’ipocrisia liberal in limousine”. Insomma, cambia il tipo di automobile, ma la sostanza resta comunque la stessa: la supponenza dei liberal nell’atteggiarsi a parte sapiente della società americana, che parla al popolo con il dito indice sempre alzato.
Di contro, la frattura nella società americana è costituita da una congerie di persone che nel tempo si sono contrapposte – senza, peraltro, costituirsi in un movimento coerente – ai “liberal in limousine”: Joe McCarthy e la sua campagna anti-comunista, Huey Long e il suo populismo redistributivo, il “family capitalism” di Barry Goldwater. Solo con la presidenza di Nixon, questo variegato spettro di popolo si riconobbe nella “moral majority” del paese e trasformò definitivamente il Partito Repubblicano in un partito conservatore. Occorre aggiungere, tuttavia – ma Fraser non ne fa menzione – che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento il People’s Party di William Jennings Bryan fu il primo partito che volle rappresentare le istanze del “common man” contro la società dei ricchi, esperimento che si esaurì abbastanza rapidamente.
Il ragionamento di Fraser, a questo punto, giunge alla sua più ovvia conclusione: il Partito Democratico non rappresenta più la working class, il “little man”, perché ormai la sua ideologia è ancorata alla parte politicamente corretta della società americana, ai lettori del New Yorker e similari pubblicazioni, mentre il Partito Repubblicano ne ha preso il posto nella rappresentanza sociale, “capovolgendo tutta la storia precedente” della politica americana. In queste elezioni, Donald Trump è il simbolo di questo capovolgimento.