L'Ukip, ottenuta la Brexit, s'avvia all'autodistruzione? Scenari post congresso
Londra. Può un partito single-issue sopravvivere, una volta raggiunto il suo obiettivo? La domanda devono essersela fatta in molti a Bornemouth, dove si è aperta la Conferenza Nazionale dell’Ukip. Un congresso particolare, che dovrebbe celebrare la vittoria nel referendum sulla Brexit – la vera ragione di esistenza del movimento – e che invece assume i contorni del falò sulla spiaggia alla fine delle vacanze estive. Il partito orfano del dimissionario Nigel Farage ha scelto il suo successore. I candidati erano due eurodeputati e tre consiglieri comunali. Ha vinto Diane James, rappresentante a Strasburgo per il Sud-Est dell’Inghilterra, dopo l’esclusione del favorito Steven Woolfe, cui non è stato perdonato il quarto d’ora di ritardo nella presentazione della candidatura. Non si è candidato Douglas Carswell, unico deputato a Westminster del partito e storico opponente della leadership faragista, con attriti durante la campagna referendaria. L’ex leader ha voluto continuare la battaglia nel suo comitato elettorale Grassroots Out, mentre il deputato preferiva unire le forze con i Conservatori di Vote Leave.
Una discussione che poco ha influito sul risultato finale, ma che ha evidenziato un problema di fondo: la maggior parte dei sostenitori dell’Ukip viene dai tories. Fenomeno più marcato per i membri eletti, tra cui lo stesso Carswell, che ha cambiato casacca durante la scorsa legislatura.
Il nuovo leader dell'Ukip, Diana James (foto LaPresse)
La vittoria referendaria apre scenari nuovi. Il flusso di consenso che andava dai Conservatori verso l’Ukip si sarebbe interrotto secondo alcuni. Di più, si sarebbe invertito. In due giorni, proprio alla vigilia della Conferenza Nazionale ci sono state due defezioni di rilievo verso il partito di Governo. Ieri Steve Stanbury, ex direttore del partito, ha annunciato il ritorno ai Conservatori durante Daily Politics, su BBC 2. Secondo lui “i giorni migliori sono passati” e i tories sono “il posto migliore per mettere in atto la Brexit”. Al termine dell’intervista ha fatto anche un appello finale verso i suoi colleghi a raggiungerlo. La crisi esistenziale dei kippers è continuata la mattina seguente, quando poco prima dell’apertura della Conferenza c’è stata un’altra defezione. Alexandra Phillips, ex assistente di Farage e capo ufficio stampa del partito, ha annunciato che “è tempo di tornare a casa”. A portarla a questa decisione è stato il programma di Theresa May, in particolare il suo “approccio pragmatico e determinato alla Brexit”. Secondo la Phillips l’aumento di 50.000 membri dei Conservatives avvenuto questa estate è da attribuirsi largamente ad un vero e proprio esodo di sostenitori di Farage. Del resto se gli euroscettici volevano la Brexit, ora potranno averla solo con il partito di Governo, visto che è altamente improbabile che l’UKIP si avvicini a Downing Street in tempo. Le due defezioni si aggiungono al passaggio in tempi non sospetti dell’eurodeputato Amjad Bashir, che lasciò nel gennaio 2015 in rotta con la leadership. Definì il partito euroscettico “amatoriale”. Quelli risposero denunciando alla polizia presunte irregolarità finanziarie e l’impiego di immigrati clandestini nel ristorante di curry di famiglia.
Tolte motivazioni e diatribe personali, se quello che afferma Phillips dovesse essere comprovato da dati reali, saremmo di fronte all’inizio del tramonto dell’Ukip. Una fine paradossale, perché arrivata dopo una vittoria, ma che risponderebbe al quesito sulla sopravvivenza dei single-issue parties. Al tempo stesso si potrebbe verificare uno spostamento verso destra dei Conservatori, che andrebbe a premiare i leader di Vote Leave, ora chetati dalla soluzione cerchiobottista del Governo May. In un momento in cui la politica britannica e i suoi partiti sono più instabili che mai, l’anatema colpisce anche chi l’ha lanciato, attaccando il bipolarismo e facendone traballare le architravi.