Lo status quo politico premia Putin, quello economico lo minaccia
Berlino. A meno di una settimana dalle elezioni parlamentari nella Federazione russa che si terranno il 18 settembre, le prime dopo l’annessione della Crimea e di Sebastopoli, le cronache della stampa occidentale riportano che il Levada Center, autorevole centro di ricerca e istituto demoscopico indipendente con sede a due passi dal Teatro Bolshoi, nel centro di Mosca, è a rischio chiusura dopo essere stato iscritto nel registro degli “agenti stranieri”dal ministero federale della Giustizia di Mosca. Da circa quattro anni, dopo l’entrata in vigore di una legge voluta fortemente dal partito di maggioranza Russia Unita, nato nel 2001 per sostenere l’attuale presidente Vladimir Putin, le organizzazioni non governative che ricevono finanziamenti esteri e svolgono attività ritenute di natura politica devono registrarsi come “agenti stranieri” (inostrannyi agent), un’espressione utilizzata ai tempi dell’Unione sovietica per indicare le spie al soldo degli Stati Uniti.
Come spiega al Foglio Alexey Levinson, capo del dipartimento per gli studi socio-culturali del Levada Center e docente presso la Higher School of Economics di Mosca, la situazione è molto grave: “Tenteremo di proseguire con le nostre attività finché ci sarà possibile. Al momento, però, andiamo incontro a sanzioni molto salate per la mancata registrazione. Dovremo presentare una serie infinita di rapporti all’Erario e rischiamo di perdere molti dei nostri clienti”. “A dirla tutta – continua Levinson contestando le accuse e annunciando un ricorso di fronte alla giurisdizione amministrativa – non abbiamo mai basato le nostre attività su finanziamenti stranieri. Noi vendiamo i nostri studi come prodotti editoriali. Da quest’anno il ministero della Giustizia ha iniziato a considerare i proventi di queste vendite come finanziamenti stranieri all’organizzazione”.
A venticinque anni dal fallito colpo di stato contro Mikhail Gorbachëv che segnò la fine dell’Unione sovietica, la Federazione russa attraversa una delle recessioni economiche più gravi della sua storia, dovuta al calo del prezzo del petrolio e alle sanzioni occidentali. Nonostante la popolarità del presidente Putin sia sempre elevata (si attesta intorno all’80 per cento), il governo federale è alle prese con un buco di bilancio da chiudere, crescita zero e un tasso di disoccupazione in aumento. Ecco perché l’establishment vuole scongiurare che le elezioni parlamentari diventino per le opposizioni un pretesto per gettare benzina sul fuoco, provocando disordini di piazza come è avvenuto nel 2011-2012. Benché i partiti ammessi a questa tornata siano il doppio rispetto alle elezioni per la Duma di stato di cinque anni fa (quattordici contro i precedenti sette), il giro di vite nei confronti dei movimenti di opposizione attualmente non rappresentati in Parlamento rimane forte.
E’ di venerdì scorso la notizia che la Corte suprema della Federazione russa deciderà a breve, ossia meno di una settimana prima del voto, sulla partecipazione alle elezioni di Rpr-Parnas, il partito liberal-democratico guidato da Mikhail Kasyanov e fondato dall’ex primo ministro Boris Nemtsov, brutalmente assassinato sul ponte di fronte al Cremlino nel febbraio 2015. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Interfax, il partito Piattaforma Civica, una creatura del partito di maggioranza, in origine fondato, ma poi abbandonato dal magnate russo Mikhail Prokhorov, avrebbe depositato un ricorso dopo che Kasyanov, in un comizio in diretta tv, avrebbe accusato il presidente russo di aver aiutato e coperto il governo siriano a utilizzare armi chimiche contro i civili.
La Corte dovrebbe ora verificare se tali commenti, giudicati estremisti dagli avversari, possano determinare l’esclusione del partito dalla competizione elettorale. D’altra parte occorre ricordare che, già ai primi di agosto, quando fu pubblicato l’elenco delle liste ammesse a partecipare alle elezioni del 18 settembre, si fece notare l’assenza del Partito del Progresso del blogger e attivista Andrej Navalny, privato dell’elettorato passivo per le sue condanne per appropriazione indebita riportate nel corso degli ultimi anni.
Il premier Medvedev trasformato in gaffeur
Ad oggi, le rilevazioni demoscopiche parlano di una partecipazione limitata di cittadini al voto di domenica prossima: soltanto un russo su due si recherà alle urne in quella che i media dipingono come una delle campagna elettorali più noiose di sempre. La popolarità del partito di maggioranza, come mostrato proprio da un sondaggio del Levada Center di fine agosto, è in costante calo, ma dovrebbe comunque essere sufficiente per raggiungere la soglia critica della maggioranza dei 2/3 nella Camera bassa. Tra le ragioni del relativo declino di Russia Unita, oltre alla crisi economica che morde il paese, va ricordata anche la crescente impopolarità di un gaffeur come Dmitry Medvedev, primo ministro e segretario del partito. Ecco perché Russia Unita ha condotto la propria campagna elettorale utilizzando la voce (in radio) e le frasi (sui manifesti elettorali) di Putin, il quale, però, non ricopre più alcuna carica nel partito.
La Duma di stato dovrebbe poi accogliere tra le proprie fila tutti gli altri partiti finora rappresentati, partiti che in questi anni hanno fatto quadrato intorno a Russia Unita, quando si è trattato di difendere la politica estera del presidente e cambiare la Costituzione. In particolare, vi saranno deputati del partito nazional-liberale (12 per cento), del partito comunista (10 per cento) e probabilmente anche del partito social-democratico (5-6 per cento). Niente da fare, invece, per le opposizioni filo-occidentali, come Yabloko e Rpr-Parnas, presentatesi ciascuna con il proprio simbolo e destinate a rimanere sotto la soglia di sbarramento. Benché abbia svecchiato grafica e logo, Yabloko rimane pur sempre il partito di Grigory Yavlinsky, politico dell’era Eltsin, tra i politici meno amati dai russi insieme con Gorbachëv.
A suo modo, anche il Partito comunista, votato tradizionalmente dagli elettori più anziani, ha cercato di rendersi appetibile presso l’elettorato più giovane, mostrando immagini di Yosif Stalin che fuma una e-cigarette o di Karl Marx che veste una giacca di pelle e annuncia il proprio ritorno. Dal momento che si voterà con una nuova legge elettorale – i seggi saranno ripartiti per metà con il metodo proporzionale e per l’altra metà con il metodo maggioritario in collegi uninominali – rimane l’incognita dei candidati con un forte radicamento locale. Piccole sorprese a parte, le elezioni del 18 settembre dovrebbero insomma consolidare lo status quo e dare tempo a Vladimir Putin di preparare con calma le elezioni presidenziali del marzo 2018.
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