Gli europeisti inglesi si consolano con un giornale che si pensava già morto
Milano. The New European è un settimanale di carta “decisamente europeista” lanciato l’8 luglio scorso nel Regno Unito per dare voce al “48 per cento” che aveva perso il referendum sulla Brexit, e non voleva crederci. E’ stato concepito come un’esperienza temporanea – un “pop up” media con l’obiettivo di durare il tempo necessario per curare la ferita del distacco britannico in quest’estate del discontento europeista. Il suo direttore, Matt Kelly, dice che “è un prodotto del momento, quando questo momento passerà, il settimanale non ci sarà più”. Il tempo però si sta inaspettatamente dilatando: erano previsti quattro numeri ma oggi sarà in edicola l’undicesimo (costa 2 sterline), il rimpianto del “48 per cento” sembra non passare, complice forse anche il fatto che la Brexit non inizia più.
Dal punto di vista editoriale, The New European rappresenta un esperimento nuovo e al momento di successo che ha galvanizzato molti esperti del settore (tendenzialmente depressi). Qualche mese fa, sempre in Inghilterra, era stato lanciato un nuovo quotidiano, New Day, che aveva aspirazioni parecchio alte, una distribuzione di 200 mila copie e un format molto fruibile: si è fermato a 30 mila copie, dopo dieci settimane aveva già chiuso. Archant, che pubblica The New European ed è il quinto gruppo editoriale britannico, non rivela a quanto ammonta l’investimento su quest’ultimo progetto – si sa soltanto che la campagna di marketing è costata circa 10 mila euro – ma approfitta dei propri vantaggi competitivi: pubblica giornali locali o relativi a interessi specifici, piccole nicchie redditizie. The New European è stato concepito all’interno di questo contesto, rifiutando ossessioni generaliste e concentrandosi sul lettore europeista, un pubblico che potenzialmente consta di 16 milioni di persone.
Ma poiché erano previsti soltanto quattro numeri, non sono stati spesi soldi in studi di mercato o altre indagini, si è puntato soltanto sul numero 48: il 48 per cento dei proeuropei, 48 pagine, 48 bottiglie di vino in palio per chi vince l’“euroquiz”, liste di 48 punti su personaggi, temi, discussioni. La sezione centrale si chiama “Expertise”, risposta diretta ai sostenitori della Brexit, primo fra tutti Michael Gove, che dicevano che “la gente in questo paese ne ha abbastanza degli esperti”, e ha spesso ospitato firme importanti (sul primo numero c’era un minisaggio di Alaistair Campbell, ex spin doctor di Tony Blair, che andò benissimo: furono vendute 40 mila copie). Durante l’estate c’è stato un tentativo pubblicitario per spazi “premium” che è andato male, dicono perché gli investitori non hanno interesse a dare fondi a un progetto temporaneo, ma intanto alcune copie del settimanale ora vengono distribuite anche nelle capitali del continente.
Se dal punto di vista editoriale, The New European rappresenta un nuovo caso da studiare e analizzare (anche se il precedente più simile ha già esaurito il suo slancio, per quanto sia ancora in piedi: The National nacque dopo il referendum scozzese sempre per dar voce agli sconfitti, in quel caso gli indipendentisti, ma la sua readership iniziale di 60 mila persone è già scesa in due anni a 15 mila), dal punto di vista politico il progetto stenta a prendere forma. Sul numero di venerdì scorso in copertina c’era il comico Eddie Izzard, con il basco rosa e lo smalto rosso e blu della Union Jack che lo ha reso celebre durante la campagna per il “remain”: può essere lui il leader del 48 per cento?, era il titolo.
E’ una provocazione – si deve pur vendere anche un giornale a tempo – ma dimostra la disperazione politica degli europeisti inglesi che non trovano un partito-rifugio, visto che il Labour di Jeremy Corbyn è pericolosamente vago persino sulla permanenza del Regno Unito nel mercato unico e i liberaldemocratici non riescono a catturare l’attenzione nemmeno ora che sarebbe il loro momento. Una ricerca del think tank Smf pubblicata questa settimana spiega perché il “centro” della politica inglese è tanto “arido”. L’afflato liberale che ha caratterizzato il Regno Unito da Tony Blair in poi è andato via via esaurendosi e il voto sulla Brexit ne ha sancito la sterilità: questo “centro” va ripensato, come dimostra anche un altro saggio appena pubblicato, “The Alternative: Towards a New Progressive Politics”, in cui si suggerisce che parte del Labour, i liberaldemocratici e i Verdi dovrebbero unirsi in una causa comune. Ma il progetto, di cui si parla dal giorno dell’esito del referendum, stenta a decollare e per ora l’unico successo del rimpianto anti Brexit è un settimanale colorato che tutto pensava tranne che di arrivare fin qui.