Leggere Hollande e capire quanto si è ristretta la sinistra di Francia
Parigi. “Continuo a pensare che il clivage sinistra-destra sia la base della democrazia”, anche se “la sinistra di governo si trova oggi dinanzi a vere difficoltà, perché è contestata non solo dalla destra, ma anche dall’estrema destra sui temi identitari”. In un colloquio con la rivista intellettuale Le Débat, il presidente della Repubblica francese, François Hollande, ha parlato delle sfide della gauche, provando a difendere, ancora una volta, la sua azione socialdemocratica. “Sono socialista ma non sono per la socializzazione dei mezzi di produzione”, ha dichiarato Hollande, precisando di non “essere liberale, nel senso in cui la logica del mercato deve avere la meglio su tutto”, ma rivendicando la scelta di aver attuato una politica dell’offerta “in alcune circostanze”. Dopo aver definito il social-liberalismo un “liberalismo senza brutalità”, il capo di stato ha vantato i meriti di una delle misura più liberali del suo mandato: il “Patto di responsabilità”.
“Era necessario e l’ho fatto”, perché “lo stato del paese giustificava un aiuto alle imprese per rilanciare la loro competitività”, ha spiegato. Ma sullo sfondo dell’ennesimo tentativo di difendere i risultati (pochi) di una presidenza debole e a tinte fosche, emerge la realtà di un partito di governo che si sta restringendo pericolosamente, di una funziona pubblica, l’elettorato tradizionale della gauche, che sta fuggendo a gambe levate verso il Front national (paper di Sciences Po, pubblicato ieri), e degli ultimi sondaggi, catastrofici, sulla sua popolarità tra i francesi. A prescindere dagli avversari che si troverà di fronte al primo turno delle presidenziali, in caso di ricandidatura, Hollande finirebbe infatti sia dietro il candidato della destra neogollista sia dietro la leader del Front national, Marine Le Pen. In realtà il sondaggio dell’Istituto Bva è drammatico per tutta la gauche, perché qualora l’ex ministro dell’Economia, Emmanuel Macron, decidesse di andare fino in fondo e lanciarsi nella corsa per l’Eliseo con il suo movimento En Marche!, questi raccoglierebbe il 16,5 per cento dei voti, Jean-Luc Mélenchon, leader dell’ultrasinistra, il 10 per cento, e Hollande, un misero 9: tutti dietro ad Alain Juppé, il favorito dei Républicains, con il 26 per cento di intenzioni di voto al primo turno, e Marine Le Pen, in prima fila con il 28.
L’ex ministra della Giustizia, Christiane Taubira, che ha sbattuto la porta del governo a inizio anno, ha dichiarato a Libération che “la gauche rischia di sparire”. Lo aveva detto anche il premier Manuel Valls dopo la sconfitta del Ps alle europee: “La sinistra può scomparire e la Francia può sfaldarsi”. L’inquilino di Matignon, a dire il vero, è l’unico membro del governo ad aver capito che è arrivato il momento di definire i contorni di una nuova sinistra, di reinventarla, perché la “gauche passatista, ossessionata dal super io marxista”, come la definì in una celebre intervista all’Obs, è anacronistica, e la Francia ha bisogno di una sinistra “pragmatica, riformista e repubblicana”. Per questo, la scorsa settimana, ha affermato perentorio: “La sinistra del reale sono io”. Che poi è la stessa formula rivendicata dall’enfant prodige della sinistra riformista francese, Macron, il quasi-candidato alle presidenziali, come lo definisce la stampa parigina.
Forse l’Eliseo nel 2017 è ancora un sogno proibito per il trentottenne di Amiens, ma la sua lenzuolata di liberalizzazioni, la loi Macron, ha avuto successo tra i francesi di destra e sinistra, e tanti suoi concittadini – al di là della piazza che ancora si è riempita contro la riforma sul lavoro – condividono molte delle sue idee sulla società, sull’economia e sulle riforme da fare per sbloccare la Francia. Ieri, uno studio dell’Ifop ha mostrato che il 60 per cento dei francesi considera le imprese più utili dello stato e l’88 per cento ritiene l’imprenditore la figura più utile della società. Dati che soddisferanno Macron e chi, come lui, è alla ricerca di un nuovo centro di gravità per la gauche.