A Londra è guerra aperta tra Sadiq Khan e Uber
Che il sindaco di Londra Sadiq Khan avesse un approccio diverso su business e servizi pubblici da quello del suo predecessore, Boris Johnson, era chiaro da tempo. Si sarebbe potuto immaginare dalle idee politiche dell’ex deputato di Tooting, ma il diretto interessato l’ha detto chiaro e tondo durante la conferenza del sindacato Unison, il 4 Luglio 2014: “i Conservatori non capiscono che c’è una differenza tra affari e servizi pubblici”. Tuttavia in una metropoli come Londra, terra promessa delle startup e della sharing economy, un messaggio del genere avrebbe faticato a passare in maniera integrale e integralista. Dunque prima delle elezioni cambiò il tiro. Nel suo manifesto scrisse di voler essere “il sindaco più pro-business” nella storia della capitale. I primi segnali, tuttavia, non sono incoraggianti.
La sua amministrazione ha lanciato un nuovo piano per la mobilità dei taxi, per cui i black cabs usufruiranno di 65 milioni di sterline di finanziamento e nuove stazioni di caricamento elettrico. Uber, che sulle sponde del Tamigi va a gonfie vele con oltre 30.000 download della app ogni settimana, non avrà accesso a nessuna di queste agevolazioni. Peggio: i suoi autisti si troveranno di fronte a un ingorgo burocratico che potrebbe metterli fuori strada. Test di “guida avanzata” e di inglese, cui i tassisti legati ai sindacati non sono soggetti, saranno invece previsti per gli autisti privati, che dovrebbero sborsare fino a 200 sterline per poter essere a norma. Khan è stato ferocemente criticato per questa scelta, che ha portato la compagnia di San Francisco ad adire per vie legali contro Transports for London, che gestisce i trasporti nella capitale britannica. In particolare, gli viene rimproverato che tutti i punti del nuovo progetto di mobilità siano sulla stessa traccia delle 28 misure presenti nel manifesto di LTDA, uno dei maggiori sindacati del settore.
Proprio i sindacalisti avrebbero messo alle strette il novello primo cittadino, minacciando uno sciopero alla parigina. Nessuna prova di forza da parte di Khan, che anzi si è mostrato accondiscendente alle richieste dei cabbies. Tutto il contrario di Boris Johnson, che scatenò le ire funeste degli autisti trattandoli alla pari con i colleghi di Uber. Una decisione che gli costò popolarità e alcuni divertenti alterchi a bordo della sua bicicletta. BoJo venne subissato di fischi quando, nel corso di un infiammato consiglio comunale, definì gli oppositori dei “luddisti”. Nell’ottobre 2015 una sentenza della Corte Suprema pareva aver chiuso la questione a favore delle nuove tecnologie, scatenando manifestazioni di protesta a Trafalgar Square.
Londra è stata l’undicesima città in cui è approdata l’app nell’estate del 2012, ma è diventata uno dei suoi mercati più importanti per l’alto livello di tecnologia e soprattutto per un massiccio utilizzo del trasporto pubblico. In breve tempo la compagnia si è espansa in numerose altre città del Regno Unito e ha aumentato il numero dei suoi servizi: oltre al classico UberX esistono UberPool, che permette di condividere la tratta con altre persone, diminuendo i costi; UberExec e UberLux, per il business e le auto di lusso; UberWav, che permette l’accesso alle sedie a rotelle e l’ultimo arrivato, UberEats, con consegne a domicilio di piatti take away.
La disfida tra cabbies e Uber si riapre in una città in cui sembrava chiusa. Gli autisti che utilizzano l’app hanno superato il numero dei tassisti tradizionali (sono circa 4.000 in più) e a un certo punto venne addirittura proposta una fusione tra gli iconici veicoli neri e la moderna tecnologia d’oltreoceano. Non se ne fece ovviamente nulla e la tenzone tra tradizione e nuove tecnologie pare lontana dal risolversi, complice anche la partigianeria del nuovo sindaco. A farne le spese saranno come sempre i consumatori.