Sacerdoti trucidati e picco di omicidi. In Messico torna la guerra
Roma. José Alfredo López Guillén è un sacerdote di 43 anni della parrocchia della Santísima Trinidad de Janamuato, piccola località dello stato di Michoacán, in Messico. Giovedì le autorità locali hanno annunciato che pochi giorni prima, lunedì 19 settembre, degli uomini sono entrati nella sua casa parrocchiale e l’hanno saccheggiata. Da quel momento padre López Guillén è sparito insieme a un ragazzo di 16 anni che si trovava con lui. Il governatore di Michoacán, Silvano Aureoles, ha detto in conferenza stampa che i presunti rapitori si sono portati via almeno un’automobile e un cellulare. Lunedì, nelle stesse ore in cui era rapito padre López Guillén, dall’altra parte del paese, nello stato di Veracruz, un gruppo di uomini armati prelevava dalla loro parrocchia altri due sacerdoti, Alejo Nabor Jiménez, di 50 anni, parroco di Poza Rica, e José Alfredo Juárez, 28 anni, suo ausiliario. Sono stati ritrovati poche ore dopo, legati alle mani e ai piedi e assassinati con colpi di fucile in varie parti del corpo, tra cui in faccia.
In Messico, gli assassini e le sparizioni di sacerdoti sono una delle cartine di tornasole del livello di violenza nel paese. Dopo lunghi anni di guerra al narcotraffico, nel 2012 l’inizio del mandato del presidente Enrique Peña Nieto, aveva visto un abbassamento costante del numero di omicidi, rapimenti, rapine in tutto il paese. Peña Nieto aveva concentrato le sue energie sulla crescita economica piuttosto che sulla guerra di strada ai cartelli, e la polizia era riuscita a mettere a segno una serie di arresti di alto profilo, compreso quello, intervallato da un’evasione rocambolesca, di Joaquín “El Chapo” Guzmán. Negli ultimi mesi, tuttavia, la violenza ha ripreso ad aumentare, aggiungendo la questione sicurezza ai molti dilemmi (dall’economia che non ingrana ad alcuni scandali personali di peso relativo ma di grande impatto mediatico) che lo hanno reso negli ultimi anni il presidente con il più basso tasso di gradimento nella storia recente. Secondo i dati diffusi dal Sistema Nacional de Seguridad Pública, il mese di agosto è stato quello con il maggior numero di omicidi dal maggio 2012, dal periodo cioè in cui la guerra al narcotraffico infuriava, e dunque il mese più violento di tutto il mandato di Peña: 2.147 omicidi in un mese, con rapine, sequestri ed estorsioni stabili o in aumento.
Agosto è stato il mese più violento del mandato dopo che prima lo erano stati sia luglio sia giugno, in una progressione che conta 14.549 vittime di omicidi dall’inizio dell’anno. Come ha notato l’esperto di sicurezza Alejandro Hope, un numero così alto di morti lascia pensare al ritrovamento di diverse fosse comuni, come succedeva nei periodi peggiori della guerra contro i narcos. Così, i messicani iniziano a chiedersi preoccupati se stia per tornare una nuova guerra criminale, se l’esercito tornerà a presidiare le strade e se i giornali del mattino saranno di nuovo un lungo rosario di teste decapitate e cadaveri smembrati. L’omicidio dei due sacerdoti di Veracruz e la sparizione del prete in Michoacán sono indicatori del fatto che la violenza sta tornando a colpire la società civile, come anche il caso di María Villar Galaz, cittadina spagnola rapita a Città del Messico e trovata morta la settimana scorsa dopo che la sua famiglia aveva pagato il riscatto. Le cause dell’impennata di violenza sono molteplici. L’arresto di Joaquín Guzmán ha indebolito il cartello di Sinaloa da lui presieduto, e un nuovo gruppo criminale, il cartello Jalisco Nueva Generación, sta conquistando terreno a colpi di omicidi e razzie nelle principali piazze della droga. La strategia di colpire i cartelli dalla testa con arresti spettacolari dei leader, inoltre, secondo gli analisti sta provocando frammentazione e disorganizzazione, e dunque una diffusione della violenza anche in zone che finora non ne erano state toccate.