La frontiera di Chiasso (foto di David Abercrombie via Flickr)

I limiti del Canton Ticino ai lavoratori italiani e il risiko delle frontiere in Europa

Mario Sechi
Il prossimo passo è in Ungheria. Il prossimo 2 ottobre Budapest metterà nero su bianco in un referendum il No alle politiche Ue sui rifugiati e più filo spinato per tutti con deportazioni.

    Pietro Nenni disse che “a fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro... che ti epura”. Vero. Se sposate questa frase con la geografia e il fatto incontestabile che “c’è sempre qualcuno più a Nord di te”, otterrete il seguente risultato: il Canton Ticino chiude la frontiera agli immigrati e alla parola “straniero” coincide la nazionalità italiana, o quel che ne resta. Dunque sulla mappa possiamo ammirare il seguente risiko alle frontiere: l’Italia e la Grecia salvano i migranti in mare, la Turchia (in base all’accordo fatto con la Ue) si prende quelli che vengono dalla Siria e li rispedisce sotto le bombe, i migranti del Nord Africa restano in Italia o puntano alla clandestinità in altri paesi europei, ma passare è un’impresa, la Germania dopo aver accolto un milione di rifugiati siriani nel 2015 non ne accoglierà più come in passato (Merkel dixit) e ora quelli che è sempre colpa di Berlino (Italia compresa) avranno di fronte la realtà.

     

    Quale? L’Ungheria il prossimo 2 ottobre metterà nero su bianco in un referendum il No alle politiche Ue sui rifugiati e più filo spinato per tutti con deportazioni (questo è il piano del premier Viktor Orban) in un’isola del Nord Africa, l’Italiano medio, disinformato, smarrito e in stato confusionale invece di chiedere l’apertura dei confini a Nord – quelli che si stanno chiudendo – ha un’idea geniale: chiudere a sua volta le frontiere (“Paura degli immigrati, italiani favorevoli a chiudere le frontiere”, Repubblica), ma la cosa è già stata pensata dalla Svizzera (“Prima gli svizzeri? Il 58% vota «sì». Il Canton Ticino vuole meno italiani”, Corriere della Sera) e la cosa dovrebbe indurre gli abitanti dello Stivale a qualche acuta riflessione. E’ già successo di tutto, ma tutto svanisce nella memoria degli italiani: in Austria (cari, avete già dimenticato la disputa del Brennero?) e in Francia (lo sapete che a Ventimiglia non si passa?), nella rotta balcanica che è out, nella Slovenia che ha avvisato, niente muri ma anche niente immigrati, e così pure in Albania, paese che gli italiani immaginano ancora come quello dal quale il 7 marzo del 1991 sbarcarono in Puglia ventisettemila uomini e donne in fuga dalla crisi economica e dalla dittatura comunista. Era un’altra storia, quella del mercantile Viora, salpato dal porto di Durazzo, arrivò al porto di Bari con a bordo ventimila albanesi. Sono trascorsi venticinque anni, il mondo è cambiato, il Canton Ticino ha deciso: #primaInostri. Nelle foto dei festeggiamenti per la grande vittoria della Svizzera al confine con l’Italia, c’è una sagoma che indossa la felpa, “Ticino”, dettaglio stilistico che ricorda un tale, Salvini. Felpa ticinese sbatte fuori felpa milanese. Fa sorridere sentire la vibrante protesta dei leghisti: “Difenderemo i concittadini!”. Pensa un po’ che contrappasso, scoprire che il nord non finisce a Pontida. Buona giornata.