Quel piccolo resto d'Israele in Cina
La storia secolare e sconosciuta degli ebrei di Kaifeng e quella drammatica del ghetto di Shanghai. La stretta di Pechino sulle religioni e una mostra al Memoriale della Shoah di Milano.
La storia degli ebrei di Kaifeng, nella Cina centrale, discendenti di una antica comunità che nel X secolo dall’Asia centrale si stabilì nell’Impero, è stata per molto tempo dimenticata. Soprattutto perché l’ebraismo non è tra le cinque religioni riconosciute ufficialmente dalla Cina. Il libro di prossima pubblicazione, “Globalization, Translation and Transmission: Sino-Judaic Cultural Identity in Kaifeng, China” a firma di Moshe Bernstein, ricercatore alla University of Western Australia, ha riportato l’attenzione su un tema spesso dimenticato. Tanto che in questi giorni Chris Buckley del New York Times è andato a Kaifeng a trovare gli ultimi rimasti, poco più di un centinaio, di una ben più ampia comunità che nel corso dei secoli si era completamente integrata in Cina. Nel dodicesimo secolo costruirono una sinagoga che nell’Ottocento fu distrutta da un’alluvione. Fino agli anni Settanta la vita era vivace a Kaifeng e si potevano riconoscere i segni di una cultura giudaica nelle feste organizzate dalla comunità e nelle celebrazioni (lo stesso Bernstein spiega in un’intervista al Nyt che gli ebrei di Kaifeng non hanno mai conosciuto alcun tipo di discriminazione). Le cose però si sono complicate lo scorso anno, quando il governo di Xi Jinping ha iniziato una nuova stretta sulle religioni non controllate direttamente dal Partito comunista, colpendo le comunità cristiane, buddiste e anche quella ebraica (leggi qui tutto il reportage). Queste confessioni lottano per essere riconosciute come minoranze e ultimamente anche l’ambasciata israeliana in Cina ha iniziato a studiare con attenzione i discendenti diretti della comunità di Kaifeng.
La storia della comunità di Kaifeng si collega direttamente con un’altra vicenda, quella dei diciottomila ebrei che durante le persecuzioni naziste, anche attraverso i porti di Genova e Trieste, si rifugiarono a Shanghai. Una mostra al Memoriale della Shoah di Milano, organizzata dagli Istituti Confucio dell’Università Cattolica e dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con lo Shanghai Jewish Refugees Museum, la Fondazione Memoriale della Shoah di Milano Onlus e la sede diplomatica italiana a Shanghai, racconta la loro storia (fino al 15 dicembre). E soprattutto racconta il caso di Ho Feng Shan, lo “Schindler cinese”, insignito nel 2000 dell’onorificenza di Giusto fra le nazioni da parte dello Yad Vashem israeliano. “Console cinese a Vienna, Ho Feng Shan è la straordinaria figura di un Giusto tra le Nazioni cinese”, dice al Foglio Elisa Giunipero, direttore dell’Istituto Confucio dell’Università Cattolica, “alla fine degli anni Trenta salvò molti ebrei europei in fuga dal nazismo. Con forte rischio personale, concedette loro i visti per rifugiarsi a Shanghai. La sua memoria sprigiona ancora oggi un forte appello contro l’indifferenza verso chi scappa dal suo paese, chi è perseguitato o vittima della violenza, a qualunque popolo appartenga: la sua vicenda personale parla dell’universalità della solidarietà”. E la sua figura, in Cina, oggi non è completamente ignorata: “Seppure non così popolare presso il vasto pubblico nella Cina di oggi, Ho Feng Shan ha ricevuto attenzione a livello ufficiale con alcune pubblicazioni in lingua cinese e alcune iniziative per ricordarne l’operato. In questo senso, lo Shanghai Jewish Refugees Museum ha svolto e svolge un ruolo importante: si tratta di un piccolo ma significativo museo nel distretto di Hongkou, la zona di Shanghai che ha avuto una rilevante presenza ebraica e dove, durante la Seconda guerra mondiale e con l’occupazione giapponese della città, fu creato il ghetto. Il museo conserva una preziosa documentazione sugli ebrei in città e ha realizzato la mostra che, grazie all’iniziativa degli Istituti Confucio, è ora esposta per la prima volta in versione italiana al Memoriale della Shoah di Milano”, dice Giunipero.
“La vita di chi si rifugiò a Shanghai fu certamente molto dura, per la necessità di adattarsi a un contesto tanto distante dalle proprie abitudini, nella Cina degli anni Trenta, povera e preda di guerre interne ed esterne. Soprattutto durante l’occupazione giapponese di Shanghai, le condizioni di vita per tutti gli abitanti della città, ebrei inclusi, peggiorarono. Tra i rifugiati, molti testimoni però ricordano con gratitudine l’accoglienza avuta a Shanghai”. Ad Herbin, nel cuore della Manciuria, e a Shanghai, ancora oggi la cultura ebraica viene celebrata. “Mi auguro che anche la mostra di Milano”, dice Giunipero, “sia per tanti l’occasione per scoprire una pagina quasi sconosciuta e per riflettere sulla storia della Shoah come storia globale e non solo europea”.